Parentectomia: prima un soprassalto nel leggere la parola in un articolo di psicologi italiani, assoggettati ad un codice deontologico comune anche se notoriamente fautori della alienazione genitoriale, alias PAS. Poi, a freddo, la valutazione che non poteva esserci terminologia più appropriata per l’intervento che i fautori PAS (G.B. Camerini, T. Magro, U. Sabatello, L.Volpini delle università di Padova e Roma) propongono nei casi di alienazione genitoriale: l’asportazione del genitore come se si trattasse di un tumore, di un organo malato nel contesto di vita di un minore. (vedi il testo qui).
Parentectomia, intervento chirurgico di asportazione di un qualcosa di patologico. A questo conduce la presunta sindrome di alienazione genitoriale, quella sindrome per la quale un genitore contro l’altro armato inoculerebbe dall’esterno nel bambino, anche solo al livello inconscio e quindi indimostrabilmente, il rifiuto verso uno dei due. Ma siamo anche più precise: l’alienazione parentale è una tattica legale che serve a salvare pedofili e violenti dalle accuse delle loro vittime. E’ diffusa soprattutto nel contesto dei procedimenti civili di separazione, quando nei casi di violenza domestica che colpiscono in modo statisticamente preponderante le donne (30% della popolazione femminile nel mondo, dati OMS del 2013 e del 2017) i bambini rifiutano il padre perché hanno visto maltrattare le loro madri o perché sono stati direttamente coinvolti nelle violenze fisiche, psicologiche ma anche negli abusi sessuali.
Ecco allora che nei tribunali accade quella che la Convenzione di Istanbul chiama vittimizzazione secondaria contro le donne: l’essere accusate di delitti mai commessi, essere considerate colpevoli, ad esempio, del rifiuto del minore verso il padre e di non essere un genitore amichevole verso l’altro garantendogli un facile accesso o contatto con il minore (friendly parenting). Ebbene quello che sarebbe di tutta evidenza, cioè il fatto che il bambino rifiuta il padre violento perché ne ha paura per se stesso o per la propria madre, diviene invece qualcosa di totalmente diverso grazie a questa genia di consulenti fautori o discepoli dei fautori della PAS (teoria che, ribadiamo, non ha alcuna valenza scientifica ed è stata rigettata dal contesto scientifico) che ribaltano i rapporti tra causa ed effetto.
Che il padre sia violento non interessa a questi psicologi e ai giudici che li sostengono, tutt’al più riguarda il processo penale e il suo esito finale in Cassazione. Nel procedimento civile invece è necessario che sia affermato un principio (anche questo inesistente, Carta Costituzionale alla mano): quello della bigenitorialità. E se non si riesce a fare valere il principio per il rifiuto del bambino a stare con un genitore dopo la separazione (il padre, in generale) è colpa del genitore collocatario all’atto della separazione (la madre, quasi sempre) che manipola la coscienza del minore, lo indottrina, gli trasferisce i suoi vissuti di vendetta e rancore verso il padre alienandolo a un rapporto, senza che di questo rapporto si rappresenti la matrice violenta ed il giusto desiderio del bambino di tenersi lontano dal genitore offensivo.
Ecco che una volta addossata alla donna questa responsabilità, gli psicologi su menzionati indicano l’intervento adatto: allontanare immediatamente il bambino dal genitore alienante e collocarlo presso quello alienato e cioè rifiutato, con ogni metodo, anche con dispiegamento di forze di polizia. Tutto lo strazio di un bambino preso con la forza pubblica (l’immagine del bambino di Cittadella preso per i piedi e le mani per essere separato dalla madre è ancora vivo nei nostri occhi) e strappato dal suo abituale contesto di vita, dalla madre, dai nonni, dalla scuola frequentata fino a quel momento, può essere ben racchiuso nel dolore di un intervento "chirurgico" che a buon ragione i suoi inventori hanno chiamato "parentectomia".
Elvira Reale