Quelle che vedete nell'immagine non sono bambole. Sono sex toys a forma di bambino utilizzati da feticisti che li inseriscono all'interno del loro corpo per poterli poi "partorire". Il fatto che esista un commercio online di questi oggetti testimonia la grande diffusione e l'accettazione sociale di questo tipo di parafilia che la clinica definisce autoginefilia. Oltre a utilizzare abbigliamento e accessori femminili, come nella pratica del cross-dressing, gli autoginefili feticizzano a scopo erotico mestruazioni -facendo uso di tamponi reperiti nei cestini dei rifiuti dei bagno femminili-, aborto e parto. L'articolo che segue ci racconta l'industria dell'identità di genere che fa profitti su questa forma di oggettificazione del corpo femminile.
Nel corso dell’ultimo ventennio l’accettazione sociale degli uomini affetti dal feticismo sessuale (o dalla parafilia) della transessualità, definita autoginefilia in ambito clinico, è stata legittimata e ribrandizzata dalla creazione del transgenderismo (non stiamo parlando della vera minoranza transessuale, ma della libera identità di genere, ndr)
Questo processo di normalizzazione è anche stato sdoganato in ambito culturale, presentato come progressista da Hollywood, dai politici e dai governi e pubblicizzato da ONG fondate per promuoverlo. È ora di prestare maggiore attenzione a questo particolare aspetto del colpo di stato culturale messo in atto dall’industria dell’identità di genere. Industria è la parole chiave. La trasformazione di un feticismo basato sull’oggettificazione del corpo della donna in una fonte di guadagno è infatti la vera origine dell’ideologia di genere, che non è da individuarsi né nell’identità né nel genere, sistemi di stereotipi basati sui due sessi. La normalizzazione di questa parafilia viene utilizzata su tutti come uno strumento di mercificazione e di controllo.
La minaccia più grande costituita dagli uomini affetti da autoginefilia non consiste nel rischio che possano essere predatori sessuali. Gli autoginefili non sono né più né meno pericolosi di qualsiasi altro uomo. Il nodo della questione è che sono uomini, e che una buona percentuale degli individui di sesso maschile costituisce un vero e proprio pericolo per donne e bambine.
Aprire le porte di spazi e ambienti sportivi riservati alle donne agli uomini è assurdo e rischioso, ma il rischio peggiore e più sottovalutato dall’opinione pubblica è costituito dalla normalizzazione e dalla trasformazione di un feticismo che si basa sull’oggettificazione della biologia del corpo femminile in una scelta di identità e in un fatto di libertà.
I feticismi sono per loro stessa definizione compulsivi e ossessivi e tendono a intensificarsi nel tempo. Nell’autoginefilia l’”oggetto” del feticismo è il corpo femminile. E' questo che la rende così pericolosa, soprattutto quando viene associata al capitalismo e alla tecnologia. Il fatto che un uomo possa soffrire di questo feticismo nella privacy della propria camera da letto è una brutta notizia; il fatto che questa parafilia consenta a chi ne è affetto di invadere gli spazi riservati alle donne è un abuso; il fatto che uomini al potere e al governo vedano il corpo femminile come un territorio da colonizzare e sfruttare è terrorizzante, e l’esistenza di persone che godono esercitando un sopruso dovrebbe toglierci il sonno e spingerci a lottare per trovare il modo di fermarle.
In genere chi è affetto da autoginefilia deve passare dal travestitismo domestico a quello in pubblico per riuscire a mantenere la propria soddisfazione sessuale. Cinquant’anni fa accadeva molto di rado che gli uomini si appropriassero fino a questo punto della biologia femminile, facendo uso di tecnologia e farmaci. Non erano comportamenti socialmente accettabili, e la tecnologia dell’epoca non consentiva agli uomini di nascondere a un pubblico ignaro il proprio feticismo. Oggi le cose sono cambiate: l’accettazione di questa feticizzazione del corpo della donna finalizzata al raggiungimento del proprio piacere sessuale è stata imposta alla società dalle élite e pubblicizzata. I più giovani la praticano per moda, procurandosi danni fisici mentre rimpolpano le tasche dei promotori della parafilia.
L’accettazione di questo processo ci costringe a partecipare a un gioco di ruolo sessuale collettivo e alla normalizzazione di una fantasia feticista (che male fa sognare un po’, del resto?) che vede la donna come un oggetto da smembrare, e che non è riservata agli uomini affetti da autoginefilia. Le nostre caratteristiche sessuali sono state, infatti, trasformate in una fonte di profitto. Vediamo al potere uomini afflitti da questa forma di feticismo e siamo costrette, per rivolgerci a loro “tutelandone la sicurezza” a utilizzare pronomi che cozzano con la realtà per consentire loro di portare avanti un rituale feticista che ci smembra nel nome del riscontro economico.
Anche l’appropriazione da parte delle donne della biologia maschile è stata normalizzata, ma per gli individui di sesso femminile non si tratta di un feticismo o di una parafilia. Niente di tutto questo ha a che vedere con la libertà d’espressione; si tratta della sete di denaro di Big Pharma e Big Tech, supportata dalla cultura dominante, dagli istituti bancari di tutto il mondo e dalle organizzazioni per i diritti umani.
Sfera privata e sfera pubblica
Non è moralista né dispregiativo voler riservare il sesso alla propria sfera privata; non c’è nulla di male nel desiderare di vivere in comunità dove la vita sessuale altrui non ci venga costantemente esibita. Perché? Perché vogliamo scegliere dove e con chi avere rapporti intimi. Ecco come mai abbiamo ancora (almeno per ora!) una dimensione intima, una sfera privata e una vita pubblica. La normalizzazione del sesso scollegato dalle nostre vite private e reso perennemente di dominio pubblico ci costringe a osservare la vita sessuale altrui, partecipandovi; polverizza la nostra privacy e ci trasforma in strumenti utili per legittimare le manifestazioni pubbliche di una parafilia. La violazione del nostro diritto alla privacy di fronte ai giochi di ruolo sessuali di individui di sesso opposto va di pari passo con la raccolta costante di dati sulle nostre vite e con l’impossibilità di tenere nascosti i propri movimenti.
Imporre agli altri la propria attività sessuale è una forma di abuso, di controllo e di destabilizzazione, proprio come la sorveglianza totale e costante che subiamo, sempre più sdoganata e normalizzata dalla cultura dominante e dalla sua manipolazione della società. La normalizzazione, tramite il transgenderismo, della parafilia della transessualità, ha trasformato in un diritto umano l’oggettivazione pubblica del corpo femminile finalizzata al piacere sessuale, costringendo le persone a mentire su questo fenomeno e a negare l’evidenza: le donne e altri membri della società vengono controllati, subiscono violenze e sono delegittimati, sia da questo processo sia dalle videocamere nascoste che ci seguono ovunque andiamo.
Con la metamorfosi dell’autoginefilia nel transgenderismo gli uomini affetti da questa parafilia sono incoraggiati a mostrarsi mentre mettono in atto la loro fantasia sessuale sul posto di lavoro, in aziende e luoghi istituzionali. La soddisfazione del loro feticismo consiste nello smembramento delle donne. Tutti gli altri sono costretti ad accettare la loro parafilia; le loro richieste di solidarietà e le loro norme sull’utilizzo dei pronomi vengono imposte dalle aziende e dalla politica. Le leggi promulgate da questi individui legittimano questo abuso sessuale inferto a tutti gli altri membri della società, tra cui i bambini, che ricevono lezioni sull’accettazione del “transgenderismo” già alle elementari. Le vittime di molestie tendono a dissociarsi dall’evento traumatico per riuscire a sopravvivere; bisogna fare attenzione, perché le lobby ci renderanno sempre più dissociati.
L’industria dell’identità di genere è presieduta da un uomo ricco e potente affetto da questa parafilia che trasforma le donne in oggetti e vuole eliminare ogni confine sessuale tra l’uomo e la donna per trasformare i nostri corpi in fonti di reddito. Martine Rothblatt (transgender nata Martin, tra i più pagati manager dell'industria biofarmaceutica, ndr) è riuscito a oggettificare la sua stessa moglie fino al punto di averla trasformata in un robot di cui crea lui stesso idee e pensieri nell’ammirazione generale. Insieme ad altri uomini facoltosi colpiti da questo feticismo, sta trasformando la normalizzazione del suo problema psichiatrico in un diritto umano a scopo di lucro.
È il capitalismo a guidare le nostre esistenze. I nostri corpi sono mercificati più che mai. Il transgenderismo è l’ultimo schiaffo alla privacy delle cittadine e dei cittadini in un’esistenza in cui la sorveglianza costante è la norma e i feticismi altrui diventano parte integrante di un tessuto sociale in cui la collettività viene obbligata a vivere un colossale psicodramma basato su un gioco di ruolo sessuale.
Jennifer Bilek (traduzione di Duwayce)
(l'articolo originale qui)