“Stesa sui cuscini sventrati, ancora giovane, con la gonna alzata fino al viso, un viso di cenere incorniciato da bei capelli neri. I neri, grandi e grossi, si lavoravano metodicamente quella donna aperta a forza, ora silenziosa e inerte, che aveva da molto tempo smesso di lamentarsi sotto le violente spinte. Nessuna tregua tra un uomo e l’altro. Erano più di cento, con i pantaloni abbassati e la verga in mano, in attesa del loro turno. Un ufficiale se ne stava vicino alla porta”. (da Les Eaux Mortes di Frédéric Jacques Temple, soldato dell’esercito francese).
La notizia è di questi giorni: dopo un processo durato 8 anni un tribunale Coreano ha condannato il Giappone a risarcire 12 donne rapite durante la Seconda Guerra Mondiale e costrette a prostituirsi per le truppe nipponiche.
Una sentenza storica, dopo contenziosi fra i due paesi durati decenni: molte delle protagoniste di questi orrori sono morte, altre sono ormai molto anziane, ma non si sono mai arrese nella loro richiesta di giustizia, di un riconoscimento da parte del governo giapponese per il male loro inflitto, costrette a fare da “conforto” ai combattenti di una guerra non voluta dalle donne. La tenacia di queste anziane, che per anni hanno protestato di fronte all’Ambasciata giapponese, è stata unanimamente sostenuta dal popolo coreano che si è stretto attorno alle proprie figlie e sorelle, le ha ascoltate nel loro dolore e ha rilanciato la loro rabbia.
I soldi non riporteranno indietro la lancetta del tempo, non restituiranno la giovinezza a queste donne, violata in modo immondo, ma costituiranno un riconoscimento del torto subito individuandone gli autori, i colpevoli.
Felici per questa storica sentenza, noi italiane non possiamo fare a meno di andare con la memoria a tante nostre sorelle ancora più sfortunate delle coreane perché inascoltate e rivittimizzate, le vittime delle “Marocchinate” ciociare del maggio 1944.
La resistenza dei tedeschi all’avanzata delle truppe alleate era stata particolarmente tenace nel Frusinate, e il comando francese concesse ai goumiers, soldati di origine marocchina che combattevano in prima linea, il “diritto” di saccheggio nelle campagne intorno a Cassino. Le fonti parlano di 11.000 uomini provenienti dalle colonie nordafricane, che per 50 ore si resero responsabili di massacri inenarrabili, soprattutto verso le donne di tutte le età, bambine e anziane, orrendamente stuprate. Furono massacrati anche gli uomini che cercarono di reagire, il parroco del paesino di Esperia fu orrendamente martirizzato.
Dopo questo bagno di sangue, il silenzio, la vergogna, la rimozione di quanto avvenuto, le malattie, la sifilide, le gravidanze nascoste, gli aborti, i bambini abbandonati, la malattia mentale di chi non riuscì a tornare alla vita e impazzì per l’orrore.
Era un problema di donne, l’inevitabile prezzo da pagare alla Storia decisa e fatta dagli uomini. Nell’euforia del Dopoguerra, con i nuovi scenari politici e le nuove alleanze, i “liberatori” non potevano essere raccontati come macellai e assassini. Il dramma di migliaia di povere contadine fu velocemente silenziato per "pudore". Chi ci riuscì si buttò alle spalle l’orrore, si trasferì a Roma nascondendo l'accaduto come non fosse mai successo. Bisognava sposarsi , tornare ad una vita “perbene”, interi nuclei familiari lasciarono i paesi nativi, dove tutti sapevano, dove tutti avevano visto.
Lo Stato non aiutò queste donne, non furono mai riconosciuti danni morali, non furono equiparate alle vittime di guerra. Solo misere pensioncine a fronte di valutazioni medico-fiscali umilianti, colpevolizzanti, impietose. Servivano testimoni, denunce alle pubbliche autorità, lungaggini burocratiche. Cose di donne, di poco conto. E poi il silenzio, non parlare, non dire, nascondere. I libri di Storia tacciono di questa “vergogna” ricaduta sulle spalle di chi l'aveva subita, la politica della rimozione fa la sua parte.
Di quegli anni rimane tuttavia il ricordo della deputata del PCI Maria Maddalena Rossi, Presidente dell’UDI, Madre Costituente, che la notte del 7 aprile 1952 (sic!) riuscì a fare calendarizzare un’interrogazione parlamentare sugli imperdonabili ritardi negli aiuti, nei risarcimenti, nell’assistenza sanitaria alle vittime delle “marocchinate” del 1944: 60 mila nella sola provincia di Frosinone le richieste di indennità e risarcimenti, e di queste solo una minima parte era stata evasa, con interventi sporadici, inefficaci, colpevolizzanti verso chi aveva vissuto un’esperienza che era stata “peggio della morte”.
Un anno prima molte di queste donne, contadine scese apposta dalle montagne, erano giunte a Pontecorvo per parlare, raccontare il loro dramma, ma le pubbliche autorità cercarono di bloccare l’incontro (indetto dalla stessa Rossi), perché “contrario alla Pubblica Moralità”. Erano in 500, giunte da tutto il Basso Lazio, donne umili, che mai avrebbero immaginato di dover raccontare in pubblico un orrore che le aveva accomunate tutte.
Ma il sottosegretario Tessitori rispose che si trattava di un lutto come un altro, come quello di chi aveva perso un marito, un figlio al fronte. “Come si vede che Ella non è una donna!” - rispose la deputata Rossi.
Cinque anni dopo Alberto Moravia scrisse uno dei suoi capolavori, La Ciociara, reso succesivamente immortale dal film diretto da Vittorio De Sica con una straordinaria Sophia Loren che vinse un Oscar per questa magistrale interpretazione.
E poi? E poi chi è sopravvissuta si è arrangiata come poteva. Chi è riuscita a rifarsi una vita, chi è morta nel frattempo, di dolore, di pazzia, per le conseguenze fisiche delle violenze, per la sifilide, come sono morti i figli di quegli orrori, abortiti, abbandonati, uccisi appena nati, o essi stessi minati nella salute. Qualche soldo è arrivato, poca roba, elemosine dalla Francia che sul tema ha sempre avuto una linea negazionista (sostenuta oltre che dagli storici, perfino da cardinali emeriti come Eugéne Tisserant), e pochi soldi dallo Stato italiano, che ha sempre negato i danni morali di questa tragedia.
Da dramma mondiale le marocchinate sono state via via ridimensionate a un fatto nazionale, locale, privato. Un ricordo sempre più flebile finito nel dimenticatoio della Storia e ignorato dalle giovani generazioni, che al di fuori della Ciociaria non ne hanno mai sentito parlare, né in famiglia né a scuola.
Nel frattempo le leggi sono cambiate, in Italia dal 1996 lo stupro è reato contro la persona e non più contro la morale, mentre dopo gli orrori della Guerra dei Balcani questi “incidenti di guerra” sono ormai ascritti alla categoria di crimini contro l’umanità.
E’ solo dello scorso anno il riconoscimento di danni morali, dopo 75 anni, a una vittima delle Marocchinate del 1944. Una data storica, a cui sono seguiti azioni di rivalsa contro il Governo Francese di cui ancora non si hanno aggiornamemti: è amaro che la notizia sia stata data solo dagli organi di informazione locali e dalla stampa di destra, che soprattutto a Roma ha fatto di questa tragedia uno dei propri cavalli di battaglia, cosa che ha paradossalmente contribuito a rendere ancora più tabù una pagina di storia che tutti dovrebbero conoscere.
Quali sono dunque le differenze tra la storica sentenza coreana, che si è diffusa ovunque nel mondo e il destino delle donne ciociare? Sono nella parola.
Lì è stata data voce al dolore, alla vergogna di chi viene rivittimizzata, non creduta: lì l’orrore è stato di fatto condiviso da un intero Paese, le donne sono state accompagnate per decenni di fronte all’Ambasciata nipponica a chiedere conto delle responsabilità. Quelle donne sono state trattate come sorelle, madri e nonne di tutti, e quando il dolore trova voce diventa qualcosa di diverso da prima, diventa forza, rabbia, dignità, coraggio.
In Italia invece è stato fatto pochissimo se si escludono l’impegno politico della Madre Costituente Rossi e quello artistico di Moravia, De Sica e Loren, e un fatto collettivo è diventato privato, privatissimo, silenzioso e lacerante, è diventato un rimosso, un tabù. Le pochissime iniziative pubbliche che si sono susseguite, da alcuni anni in qua, sono state sostenute quasi esclusivamente dalle destre.
Prendiamo spunto dalla storica sentenza coreana per ricordare alle più giovani la vicenda accaduta all’epoca delle nostre nonne. Storie di donne, storie (non più) di poco conto.
Qui il link agli atti parlamentari dell’interrogazione promossa da Maria Maddalena Rossi il 7 aprile 1952.
Anna Perenna