21 Febbraio 2021

Clara e le altre, uccise da uomini: l'analisi di Recalcati ci porta fuori strada

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Poiché era certa che sarebbe finita così, Clara Ceccarelli, uccisa con trenta coltellate a Genova dall'ex- che la torturava da oltre un anno, due settimane fa era andata a pagarsi il funerale. Non voleva mettere nei guai il figlio e il vecchio padre. E' stata iper-responsabile. E' stata forte e ha pensato a tutti. Voleva, come si dice, lasciare le cose a posto. Questo è l'orrore in cui Clara ha vissuto. La sua terribile solitudine, la sua rassegnazione. Sapeva che nessuno l'avrebbe aiutata.

Clara e le altre, uccise da uomini: l'analisi di Recalcati ci porta fuori strada

Da inizio anno Clara è la 13a donna uccisa da un uomo perché era una donna, intesa come cosa da possedere o di cui disfarsi.


Qualche giorno fa La Repubblica ha videointervistato lo psicoanalista Massimo Recalcati sul tema della violenza maschile (potete vederlo qui). La sua analisi ci porta fuori strada. Meglio: continua inutilmente a percorrere la stessa strada. Ecco alcune tra le cose che ha detto.

"La violenza sulle donne è razzismo, colpisce la donna come luogo dell'Altro come succede per l'ebreo, il nero, l'omosessuale... Le donne incarnano il carattere irriducibile della differenza. Come l'ebreo sono incarnazione della libertà. Sopprimere la donna è sopprimere la libertà".

E' esattamente l'inverso. Il dominio degli uomini sulle donne (Recalcati non usa mai questa parola, dominio) è la mossa originaria. Razzismo, antisemitismo e omofobia vengono dopo il sessismo e traggono ispirazione da quel modello. Trapela dalle parole di Recalcati l'irriducibile propensione a guardare alle donne come a una minoranza, una delle tante (dall'elenco manca la disabilità, ma ci ha pensato la legge Zan). Non si rinuncia a questo sguardo. Gli ebrei, i neri e gli omosessuali meritano certamente giustizia, nell'ottica di Recalcati, e così le donne. Ma intendere le donne come una delle molte minoranze è un disastro simbolico che riproduce le condizioni in cui si radica la violenza. Le donne sono la maggioranza degli umani, l'ontogenesi conferma il primato dell'essere umano femmina. Le differenze sono due, la donna non ne ha l'esclusiva. Non è lei a essere differente da un umano prevalente, il maschio. Esiste la differenza maschile e quella femminile. Il punto di vista di Recalcati resta fallogocentrico.

"Che la donna sia libertà si vede dall'abbigliamento. Per l'uomo l'abbigliamento è la divisa, la donna ha un rapporto più creativo e generativo. Non c'è l'uniforme della donna, la donna eccede ogni uniforme. C'è un primato del fallo, un ingombro mentale che si esprime nella competizione, nella performance. La donna è sgombra dal fallo, sgombra da questo peso, è più libera... è un'eccezione rispetto alla serie maschile".

Di nuovo: si pone una normalità -sia pure per criticarla: la noia della divisa maschile, l'ingombro pesante del fallo- da cui il femminile eccede. Eccoci di nuovo in pieno fallogocentrismo: il maschile come norma umana, il femminile come eccentrico, come eccezione, e via dicendo. In fondo a questa strada c'è l'abietto materno di cui ha parlato Julia Kristeva, c'è l'essere donna come condizione ontologicamente marginale per quanto qui magnificata come migliore e perfino invidiabile. Il meccanismo si riproduce intatto, pur con le migliori intenzioni. Nulla su quel movimento invidioso per la capacità femminile di dare la vita su cui si è edificata l'immane costruzione patriarcale. Su quel sentirsi espulso con il proprio corpo di uomo dalla genealogia femminile. Sul furioso divide et impera -il corpo e lo spirito, la carne e la mente, la forma e la sostanza, la natura e l'umanità- per cambiare le regole del gioco e produrre un rovesciamento: sarà lei a essere espulsa e a dovere restare fuori. Il climax è in quella teoria dell'invidia del pene che rovescia l'invidia per l'utero e che inaugura solennemente la fine del patriarcato. Quel sentimento invidioso noi donne non lo conosciamo: la perversione del dominio da parte degli uomini, quella sì, la conosciamo tutte.

"Arginare la violenza è come apprendere una lingua... strappare la lingua è l'essenziale della violenza maschile, privare della parola... Si dovrebbe imparare dai poeti. Ci vuole un'educazione sentimentale... I problemi arrivano quando il corpo sessuale si separa dall'amore. Farei leggere i poeti, la grande letteratura".

Anche qui un rovesciamento. Casomai è la lingua del dominio che viene appresa. La prima lingua di ogni uomo e ogni donna è quella pazientemente insegnata dalla madre. Poco dopo lo svezzamento e l'individuazione, il piccolo maschio viene iniziato al patto tra uomini che si fonda sull'abbandono della lingua materna e sul disprezzo-dominio delle donne, a cominciare dalla madre amata. Non basta leggere i poeti, nemmeno l'Amor Cortese. La rieducazione e il decondizionamento del maschio violento non funzionano se non come comode alternative alla pena. Il problema, la questione maschile, è quell'identità baricentrata sul dominio. La sfida è potere essere uomini tradendo il patto e rinunciando a quel dispositivo. La violenza è solo una funzione del dominio invidioso, serve a riaffermarlo, è la punta dell'iceberg. L'iceberg è il dominio.

"Nella violenza maschilista c'è sempre un impulso paradossalmente pedagogico: insegnare alla donna come deve essere donna... in cambio di una supposta identità (conferita alla donna, ndr) si esercita un potere sulla donna".

In verità l'identità in gioco è quella maschile, non quella femminile. Nell'intento pedagogico della violenza (in parole povere: nel darle una lezione) è l'identità maschile che si riafferma come incapace di strutturarsi su qualcosa di diverso dal dominio e dal furto di potenza femminile.

In conclusione: le considerazioni di Recalcati offrono un buon saggio di come funziona il fallogocentrismo, che nella sua versione "buona" (di quei bravi ragazzi di cui parla Meghan Murphy) riammette nel sistema ciò che per potersi fondare aveva dovuto escludere e deve continuare a escludere, in una specie di loop senza fine. Insomma, qui vediamo all'opera un fallogocentrismo inclusivo.

Le domande a cui ogni uomo orripilato dalla violenza maschile oggi è chiamato a rispondere sono queste: che cosa sono, se rinuncio al dominio? che cosa metto al suo posto? come sto in piedi, senza? e come scamperò la punizione da parte degli altri uomini per avere tradito il patto?

Marina Terragni

Aggiornamento: non attendevo risposte da Massimo Recalcati. Anche nel senso che non ne sentivo il bisogno. Immaginavo che avrebbe ignorato. Ma a quanto pare la stizza per quello che ho scritto -per la precisione: che mi ero permessa di scrivere- è stata tale da produrre questo formidabile acting out

Clara e le altre, uccise da uomini: l'analisi di Recalcati ci porta fuori strada

Molte tra le sue follower sbigottite gli hanno chiesto ragione di questo aforisma apodittico, a metà strada tra un motto dei Baci Perugina e uno sfogo Mra, ma non c'è stato verso. Di più: il prof. Recalcati ha dato seguito alla sua stizza bloccando e bannando a destra e a manca sulla sua pagina Facebook (ne dà ottimamente conto qui Monica Ricci Sargentini).

Ne va dedotto che: il femminismo è suo, se lo gestisce lui e te lo spiega lui: si chiama mansplaining ed è fenomeno noto. E che c'è il buon femminismo -quello che piace a lui- e c'è il "femminismo ideologico", quello che non gli fa la ola.

Di più: Recalcati parla a me ma lo fa in modo obliquo, e sprezzantemente non mi nomina. Ovvero non mi riconosce. Come direbbe lui, mi strappa la lingua. Ma sempre come dice lui strappare la lingua è l'essenziale della violenza maschile, privare della parola. Però, sempre come dice lui nella videointervista, oggi le donne parlano. Soprattutto quando si tratta di dire che cos'è una donna, faccenda di cui si intendono.

In effetti, io sono una donna, una femminista, e parlo.


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