Gli spazi delle donne sotto attacco. Non solo quelli fisici -spogliatoi, sport, case rifugio, reparti ospedalieri, carceri- ma anche quelli simbolici e politici. Se non ammetti anche persone di sesso maschile, chiudi e sparisci.
Incredibile ed esemplare quello che sta capitando a UDI, Unione Donne in Italia, associazione storica attiva da quasi 80 anni storicamente legata alla sinistra. Molte delle UDI emiliano-romagnole sono a rischio di imminente cancellazione dal RUNTS, registro unico nazionale del Terzo Settore, semplicemente per il fatto che l'iscrizione è aperta solo alle donne. Rischiano l'espulsione -dal prossimo 21 ottobre- l'UDI di Modena, di Carpi, di Ravenna, di Ferrara. A meno che non modifichino lo statuto per consentire anche agli uomini di associarsi. Essere cancellate dal RUNTS comporterebbe non poter più accedere a bandi per attività di promozione sociale, né al 5xmille per l'autofinanziamento.
Il provvedimento fa riferimento a un decreto legislativo (117/2017) che impone alle associazioni del Terzo Settore un carattere aperto e non-discriminatorio. Significativo che proprio Regione Emilia Romagna abbia interpretato la norma in modo così pedissequo e restrittivo, affermando che l'iscrizione aperta solo alle donne "appare in contrasto con il carattere aperto che devono avere le associazioni di promozione sociale soprattutto nel caso di un'aps he svolge una vasta gamma di attività di interesse generale he ben possono beneficiare del fattivo contributo partecipativo anche di persone di sesso maschile" e sottolineando che l'art. 35 comma 2 del D. Lgs. 117/2017 "esclude dal novero di promozione sociale quelle associazioni che dispongono discriminazioni si qualsiasi natura in relazione all'ammissione degli associati". Ergo: o si apre agli uomini o si chiude.
Non è strano che la questione si ponga proprio in Emilia perché l'Emilia è la regione più transfemminista di tutte, dove il femminismo deve essere per tutt*. La vicepresidenza della transfemminista Elly Schlein, oggi segretaria del PD, ha impresso una decisa sterzata verso il neutro. Da ottobre scorso il testimone -non per ruolo, ma per contenuti- è passato al fedelissimo Igor Taruffi, assessore regionale al Welfare ed esponente di spicco della lista schleiniana Emilia Romagna Coraggiosa, che transfemministicamente difende utero in affitto, sex work e assistenza sessuale ai disabili. La continuità è garantita e l'interpretazione restrittiva e antifemminista della norma del 2017 risulta perfettamente in linea.
Se non che le UDI in pericolo di espulsione sono partite al contrattacco. Regione Emilia sostiene di non avere responsabilità dirette e di avere semplicemente applicato la norma, che tuttavia le altre regioni non hanno voluto interpretare in questo modo perché non ritengono discriminatorio che le donne si associno per combattere le discriminazioni di cui sono oggetto, un cortocircuito formidabile che può essere spiegato solo con la precisa volontà di ridurre gli spazi politici femminili.
Sul caso è già intervenuta la ministra per le Pari Opportunità Eugenia Roccella, parlando di "volontà di negare il riconoscimento della differenza sessuale"e invitando Regione Emilia Romagna a fermarsi. L'ultima parola sarà quella della ministra del Lavoro Maria Elvira Calderone dal cui ministero cui dipende il registro RUNTS e alla quale UDI nazionale intende rivolgersi ponendo un quesito interpretativo urgente. Non è detto tuttavia che tutte le UDI sul territorio nazionale sgradiscano questa apertura transfemminista agli uomini.
Se passasse il principio affermato da Regione Emilia tutte le associazioni femministe, già costituite e costituende, che intendano associare solo donne potrebbero essere espulse o non essere mai iscritte al RUNTS.
Abbiamo più volte visto, del resto, come il transattivismo lavori sul piano del linguaggio, interpretando abilmente pro domo propria termini e formule concepiti dalle donne e per le donne.
La famosa frase di Simone De Beauvoir, "Non si nasce donne: si diventa” viene regolarmente misinterpretata come l'essere donna a disposizione di chiunque si percepisca tale -autoidentificazione di genere o self-id-: è chiaro a tutti che De Beauvoir non ha inteso affatto questo, a meno di non essere totalmente in malafede.
Il celebre slogan "l'utero è mio e lo gestisco io" ("il mio corpo sono io e non appartiene ad alcun uomo") secondo la rilettura queer sarebbe invece alla base della libera autoimprenditorialità di ciascun* sul proprio corpo per ottenerne profitto economico, dal "lavoro sessuale" alle gravidanze a pagamento.
Ancora, la totale risignificazione del termine "genere". Nato per indicare la costruzione sociale e culturale -stereotipi compresi- a partire dalla materialità sessuata, oggi "genere" ha sostituito del tutto la parola sesso in gran parte dei documenti e delle convenzioni internazionali, ed è la parola-chiave del lessico transattivista. Proprio per questo il femminismo radicale lo ha totalmente bandito dal proprio linguaggio.
Perfino i decreti legislativi, come stiamo vedendo, possono essere piegati agli interessi di chi intende cancellare le donne, la loro differenza e il loro simbolico: un'operazione truffaldina ed escludente che potrebbe costare molto cara a tutte le associazioni femminili.
Non possono averla vinta.
Marina Terragni