Nel ddl Zan un'arma in più per gli uomini violenti

La legge è anche contro la "misandria", continua a ripetere Zan, usando un termine inventato dai maschi violenti. Grave rischio per le donne: che nei tribunali, non bastasse la PAS, si troverebbero accusate dagli ex e dai loro legali di un nuovo falso reato
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Tra le critiche del femminismo al ddl Zan, oltre alla questione centrale dell'identità di genere, vi è anche l'inclusione della misoginia tra i comportamenti sanzionabili come crimini d'odio. Nel testo non compare il termine "misoginia", ma quello di "sesso". Per la precisione si parla di "Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità".

Chi ha seguito da vicino la redazione del testo saprà che sia "sesso" sia -in seguito- "disabilità" non comparivano nelle prime bozze. Il termine "sesso" -a significare, secondo gli estensori, il comportamento misogino- è stato aggiunto secondariamente per rendere più digeribile alle donne il resto della legge. Abbiamo più volte esposto i motivi di contrarietà a questa inclusione: non crediamo affatto che la misoginia si possa combattere con una legge penale, tant'è che nessuna, nessun gruppo o associazione ha mai valutato l'opportunità di una norma di questo tipo; inoltre l'inserimento della misoginia comporta il gravissimo errore simbolico e politico di includere le donne, maggioranza del Paese, tra le minoranze da tutelare.

Ma vi è una terza obiezione non meno significativa, un altro motivo di grande preoccupazione.

Alessandro Zan, primo firmatario della legge, ha più volte spiegato che il termine sesso non allude solo alla lotta contro la misoginia, ma anche a quella contro la "misandria". Fa molta impressione sentire un parlamentare democratico utilizzare questo termine. "Misandria" è un quasi-neologismo -in uso da un decennio o poco più- coniato e messo in circolazione dai Men's Rights Activist e dai cosiddetti Incel, Celibi Involontari, comunità di uomini sessisti e violenti, per negare o minimizzare la violenza maschile sostenendo l'esistenza di una pari o addirittura maggiore violenza femminile sugli uomini.

Si tratta di un termine misogino in sé, totalmente mistificatorio e brandito come un'arma contro le donne. E' pertanto molto pericoloso che una legge penale introduca tra le sue fattispecie il reato di "misandria", ma date le reireate dichiarazioni dell'on Zan ("la legge è anche contro la misandria")non sembrerebbero esserci dubbi a riguardo.

Un esempio di questo rischio, che non è solo simbolico ma molto concreto: in fase di separazione e di contesa in giudizio per l'affidamento dei figli, spesso le donne devono vedersela con il fantasma della PAS o alienazione parentale, sindrome inventata dal medico americano Richard Gardner. In breve, la PAS sarebbe frutto di una supposta «programmazione» dei figli da parte di un genitore patologico (genitore cosiddetto «alienante»), lavaggio del cervello che porterebbe i figli a mostrare astio e disprezzo ingiustificato e continuo verso l'altro genitore (genitore cosiddetto «alienato»). Normalmente l'accusa di essere genitore alienante tocca alla madre, mentre il padre sarebbe quello alienato.

Nonostante la PAS non abbia mai trovato validazione scientifica, nei tribunali è utilizzata con frequenza contro le madri. Giusto un paio di settimane fa, il 17 maggio, la Corte di Cassazione ha ribadito l'infondatezza scientifica della teoria riconoscendo che è « troppo spesso usata nei tribunali contro donne e bambini, soprattutto nei casi di violenza domestica». Ma non è affatto detto che il pronunciamento della Cassazione basti a eradicare la consuetudine.

Se la legge Zan passasse così com'è, introducendo il reato di "misandria", le donne si ritroverebbero a combattere con un doppio fantasma: oltre a essere giudicate alienanti in base all'ideologia misogina della PAS, potrebbero essere accusate dagli ex e dai loro legali di comportamenti misandrici. L'accusa di supposta misandria potrebbe essere rivolta alle donne anche in altri ambiti (lavorativi, politici, culturali).

A maggiore ragione, quindi, oltre che su quell'impalpabile "identità di genere" tautologicamente in-definita, che va sostituita con "transessualità" o "identità transessuale", anche riguardo all'inclusione di "sesso" il testo del ddl Zan deve tassativamente essere modificato. Il rischio è che se il ddl passasse al Senato così com'è stato formulato e approvato dalla Camera introdurremmo una delle leggi più misogine del nostro ordinamento, offrendo un'arma in più a MRA, Incel e uomini violenti.

Più lo si analizza, più il testo del ddl Zan appare un obbrobrio giuridico, come asserito da molti giuristi, che in effetti andrebbe cancellato e riscritto daccapo.

Marina Terragni

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