Dunque a Milano è stato introdotto il self-id: vuole dire poter decidere se sei maschio, femmina -o nessuno dei due- in totale libertà, senza perizie, sentenze, testimoni -come prevede la legge nazionale-: niente del genere, un semplice passaggio burocratico ed è fatta.
In Gran Bretagna, dopo anni di dibattito pubblico, il self-id è stato archiviato: la stragrandissima maggioranza della popolazione era contraria. A Milano, senza alcun dibattito, come se la cittadinanza non esistesse, come se le leggi non esistessero, e come se il sesso di nascita non contasse nulla, il Consiglio comunale ha approvato.
Un mutamento antropologico, quello che il filosofo Ivan Illich aveva profetizzato come «un cambiamento della condizione umana che non ha precedenti», l'atto di nascita di quello che lui aveva definito Neutrum Oeconomicum, passato così, in quattro e quattr'otto e in sordina, senza discussione né clamore, come un semplice atto amministrativo.
La mozione, presentata dalla consigliera PD Monica Romano -che è transessuale, nella foto di apertura-, entusiasticamente sostenuta dalla solita presidente delle Pari Opportunità Diana De Marchi - per la quale ormai da anni diritti e diritti queer sono sinonimi- e da un drappello di altri consiglieri che fanno parte di quel partito, sostiene che la legge 164/82 che regola il percorso di transizione ormai è un ferro vecchio, istituisce un Registro per il riconoscimento del genere di elezione, introduce l'"identità alias" in molti ambiti della vita cittadina, per esempio "tessere delle biblioteche comunali, abbonamenti per il trasporto pubblico, documenti di riconoscimento interni per i dipendenti del Comune di Milano e ... per i dipendenti delle aziende partecipate". La cosa avrebbe effetti anche sui registri elettorali.
"Il rilascio di tali documenti avverrebbe solo dopo il deposito di atti notori in cui la persona interessata dichiara e l'amministrazione comunale prende atto che -a titolo di esempio- Mario Rossi e Maria Rossi corrispondono alla stessa persona" è scritto nella mozione.
Detto passaggio comporterebbe un semplice "colloquio con il Sindaco, un componente della giunta, un consigliere comunale o di municipio" in cui ci si dà "solennemente atto della reciproca assunzione di responsabilità".
La faccenda non riguarda le persone transessuali che hanno effettivamente intrapreso un percorso di transizione come previsto dalla legge -e che vogliano eventualmente anticiparne gli effetti- ma qualunque Mario che voglia essere Maria senza fare questo percorso, qualunque Maria voglia essere Mario, o qualunque Mario/Maria che non voglia essere né Mario né Maria, casi raccolti sotto l'ombrello transgender. Non vi sarebbero effetti immediati sui documenti di identità, ma è noto che queste innovazioni , come peraltro Monica Romano sa benissimo, passano spesso attraverso norme e regolamenti per poi approdare a riforme legislative.
Come più volte abbiamo detto, l'identità di genere è l'architrave della ddl Zan, recentemente ripresentata al Senato: il self-id di Milano supera di fatto il ddl, bypassando ogni ostacolo.
Milano apre la strada. Lo spiega a Repubblica la stessa consigliera Romano:
"È il primo registro di genere che viene istituito in Italia e permetterà alle persone transgender, non binarie e gender-non-conforming di non dover più essere sottoposti a frustranti perizie psichiatriche e autorizzazioni di tribunali. La persona potrà finalmente autodeterminarsi, andare di fronte a un ufficiale di stato civile e fare una dichiarazione libera, a partire dalla scelta del proprio nome d'elezione. Questo voto vuole essere un pungolo per la politica nazionale".
Per commentare l'innovazione possono venire buone le parole della giornalista transessuale britannica Debbie Hayton, che aveva salutato con deciso favore la bocciatura del self-id: «Aver cestinato il self-id è una vittoria per le donne transessuali (…) Il self-id sarebbe stata una porta aperta per ogni maschio violento intenzionato ad accedere senza restrizioni agli spazi femminili. In Gran Bretagna i diritti delle persone trans non sono mai stati garantiti come oggi».
La mozione approvata dal Consiglio Comunale fa parte di un pacchetto di iniziative friendly che intendono fare di Milano una capitale del turismo Lgbtq, con interessanti risvolti economici. Non venga inteso come benaltrismo, ma forse la maggioranza di sinistra dovrebbe occuparsi anzitutto del fatto che ormai un semplice affitto a Milano è diventato un lusso per pochi, questione senz'altro meno glam ma di una certa rilevanza.
È stato approvato anche un ordine del giorno a firma del PD Michele Albiani che invita la giunta Sala a proclamare la città "zona di libertà per le persone LGBTQ+". Un altro ordine del giorno, sempre a firma Albiani, propone la messa al bando delle cosiddette "terapie riparative" -senza considerare che oggi le prime terapie riparative, come segnalato da attivisti e attiviste gay e lesbiche, consistono nella somministrazione di ormoni e bambine-i gender nonconforming, pratica ormai messa al bando in tutto il Nordeuropa e che continua invece ad avere corso in Italia, ma forse il consigliere Albiani non ne è informato.
Più in generale -per colpevole difetto di informazione- si ritiene che gli obiettivi queer e quelli delle persone gay e lesbiche facciano parte di un unico pacchetto: niente di più sbagliato, leggere qui. Il queer non è gay friendly.
Qualche valutazione per concludere. In un colloquio privato qualche settimana fa la consigliera Monica Romano ci aveva assicurato di essere personalmente contraria al self-id: a quanto pare non è così. In generale, innovazioni di questa portata richiedono un amplissimo dibattito pubblico e non possono essere imposte alla cittadinanza come semplici atti amministrativi. Soprattutto, è da far valutare alla magistratura se la mozione approvata dal Consiglio di Milano sia coerente con la legge in vigore che regola i percorsi di "cambiamento di sesso" (164/82) e successive sentenze che non impongono più l'intervento demolitivo maggiore (la rimozione dei genitali) ma confermano la necessità di un percorso medico, psicologico e legale.
Un atto amministrativo come quello milanese non può in alcun modo pensare di bypassare la legge nazionale.
Marina Terragni