Giorgia Meloni non è femminista. Non è questa la sua storia.
Nessuna donna di destra o centrodestra che abbia assunto importanti incarichi politici, da Thatcher a Merkel, si è mai detta femminista. Ne consegue la non-sensibilità alla declinazione femminile del proprio incarico, a cui il femminismo invece dà importanza.
Anche se Angela Merkel alla fine del suo lungo cancellierato, nel corso di un incontro con la scrittrice Chimamanda Ngozi Adichie, ha accettato di dirsi femminista. Secondo Alice Schwarzer, fondatrice della rivista Emma, la sua ritrosia ad assumere posizioni apertamente femministe è stato un prezzo da pagare per essere entrata a far parte di una classe dirigente conservatrice che fino a quel momento era stata interamente maschile: Merkel, conclude Schwarzer, lascia comunque dietro di sé un’eredità definibile femminista perché tante ragazze e donne la considerano una fonte d’ispirazione. Per dire così, Merkel "ci ha provato". Ha provato ogni volta che ha potuto a sfuggire alla trappola del neutro e a non rinunciare alla differenza del suo sguardo di donna.
Può essere che a Meloni, se la sua premiership sarà sufficientemente lunga, capiti qualcosa del genere. O invece no. Al momento per lei la faccenda è semplicemente irrilevante, la battaglia sul linguaggio per lei non ha alcun significato politico. Per noi femministe ne ha sempre avuto molto.
Al netto dell'eccesso di zelo burocratosaurico dei comunicati interni, che indicano come corretta dicitura SIGNOR Presidente del Consiglio -dicitura che Meloni stessa ha successivamente corretto e temperato-, la declinazione al maschile IL Presidente del Consiglio resta. Anche se sul suo essere donna la neo-premier ha insistito, il suo stretto staff è quasi interamente femminile e per la partita in chiusura dei sottosegretari ha espresso la volontà di avere più donne. La quaestio nominum l'ha liquidata così: "Leggo che il principale tema di discussione di oggi sarebbe su circolari burocratiche interne, più o meno sbagliate, attorno al grande tema di come definire la prima donna Presidente del Consiglio. Fate pure. Io mi sto occupando di bollette, tasse, lavoro, certezza della pena, manovra di bilancio. Per come la vedo io, potete chiamarmi come credete, anche Giorgia".
Conteranno molto le politiche per le donne, certo, come hanno contato per un'altra, Angela, che alla fine resterà nella storia con il suo nome proprio. Ma la questione del linguaggio oggi è decisiva, per niente neutra, e informa e struttura le più importanti battaglie politiche. Su questo Meloni dovrebbe fare un supplemento di riflessione.
Resta strano che chi rivendica il diritto di ciascuno di farsi nominare e declinare come crede, al femminile anche se è uomo o al maschile anche se è donna, altrimenti è misgendering -libertà poi negata nei fatti dall'imposizione alle donne di definizioni verbalmente violente come "persone con utero", mai, invece "persone con prostata"- stigmatizzi Meloni per il suo neutro-maschile. Qualcosa non torna.
Marina Terragni