L'effetto shock di Processo per stupro, film del 1979 realizzato da sei programmiste, filmaker e registe Rai (Loredana Rotondo, Rony Daopulo, Paola De Martis, Annabella Miscuglio, Maria Grazia Belmonti, Anna Carini) fu forse paragonabile solo al terremoto prodotto dal caso Franca Viola, ragazza siciliana che nel 1966 aveva rifiutato il matrimonio riparatore con il suo stupratore dopo la fujitina a cui era stata costretta. La violenza maschile drammaticamente sotto i riflettori.
Di Processo per stupro in cui, come disse l'avvocata Tina Lagostena Bassi legale della ragazza "la violenza della giustizia si mostrò uguale a quella degli stupratori", sono rimasti solo alcuni spezzoni (vedere qui). Sul Corriere della Sera di ieri Gianantonio Stella mette a confronto le parole della madre di uno degli imputati in quel processo e le parole di Beppe Grillo in difesa del figlio accusato di violenza sessuale. A parte le cadenze dialettali, quelle parole sono quasi sovrapponibili:
"Mi fijo nun ha fatto niente de male" aveva detto la donna. "Nun l'ha ammazzata, sta ragazza. Mi fijo è annato a divertisse. Certo che je piaceva pure a lei d'annà a divertisse... Se voleva divertì, se no nun ce annava con mi fijo, che aveva moglie e un fijo e lei lo sapeva".
Stella osserva che a 43 anni di distanza gli argomenti sono gli stessi: la vittima che diventa l'imputata, colpevole di mentire (si è divertita, c'era il consenso) e di voler rovinare la vita a bravi ragazzi o padri di famiglia. E che a quanto pare la storia non ci ha insegnato nulla.
In realtà tra la difesa disperata di quella madre e le urla di Grillo le differenze sono importanti anche se le parole sono le stesse. La madre fa ciò che le è stato comandato di fare in difesa dell'onore del figlio e della famiglia. Il suo amore è certo straziante, ma qui c'è un movimento autosessista: dimenticare che il proprio corpo è lo stesso corpo della ragazza stuprata, mantenersi sorda a ogni risonanza tra sé e lei -sua figlia simbolica-, cancellarsi insieme a lei in ossequio e in supporto a quella sessualità maschile ingovernabile, rendersi strumento efficace del dominio come le hanno insegnato a fare, sanzionare la ragazza che invece si sta sottraendo a quel compito. Se non sei una donna è difficile capire.
Grillo si muove invece in modo lineare nella genealogia maschile, non c'è bisogno di alcuna torsione, difendendo il figlio difende se stesso e la "naturale" sessualità degli uomini. Le posture sono del tutto diverse.
Ancora: quella madre si aggrappa disperatamente alla cronista, forse è l'unica occasione che avrà nella vita per fare sentire la sua voce e per dire cose che -chissà, chi potrà mai saperlo- le avveleneranno il sangue. Finirà probabilmente lei stessa vittima di quello stupro. La voce di Grillo invece risuona dappertutto e da sempre, è roboante e si rivolge a una sterminata e consolidata audience politica e mediatica per dare la propria unilaterale versione di un fatto privato, indicando al pubblico sprezzo una ragazza per la quale, fosse stata sua figlia, in modo altrettanto roboante avrebbe chiesto giustizia.
Sono differenze importanti, mi pare.
Marina Terragni