Ddl Zan: chiamare le cose con il loro nome

Il vero nome del ddl Zan, stoppato alcuni giorni fa al Senato, avrebbe dovuto essere ddl sull'autocertificazione di genere e non contro l'omotransfobia. Era quello, il self-id, il vero obiettivo, ed è per questo che la legge si è arenata. Sacrificando la giusta tutela delle persone omosessuali e transessuali alla protervia del transattivismo queer
Condividi questo articolo

Un breve commento, dopo l'archiviazione del ddl Zan sull'omobitrasfobia, destinato soprattutto alle sorelle e amiche non italiane che ci chiedono di spiegare; e a chi, fra le italiane, non abbia ancora chiaro quello che è successo.

Più o meno un anno fa il ddl Zan contro l'omobitrasfobia è stato approvato alla Camera nel silenzio e nella disattenzione generale. In quella fase i media hanno del tutto oscurato il dibattito, mentre l'ondata Covid in corso -in Italia non era ancora cominciata la campagna vaccinale- stava catalizzando l'attenzione dell'opinione pubblica. Il centrosinistra aveva votato compattamente a favore, cosa che non si è ripetuta quando il ddl è arrivato al Senato per l'approvazione definitiva. La verità è che la gran parte delle deputate e dei deputati, come è stato in seguito riconosciuto dal alcuni tra loro (primo fra tutti Stefano Fassina), non aveva davvero capito quello che stava approvando. Convinti di votare una legge contro i crimini di odio ai danni delle persone omosessuali e transessuali, non avevano compreso che il vero core della legge era l'identità di genere, primo passo in direzione del self-id.

In Italia è in vigore una legge, la 164/82, non dissimile dal Gender Recognition Act inglese, che regola il percorso per il "cambiamento di sesso", percorso che si conclude con la pronuncia di un tribunale. Questa legge è stata aggiornata negli anni da una serie di sentenze: per esempio, oggi non è più richiesta la mutilazione chirurgica per ottenere il cambio di sesso sui documenti. Resta tuttavia necessario affrontare tutto il percorso, con perizie e sentenza finale. Quello che il ddl Zan intendeva introdurre surrettiziamente era l'autocertificazione di genere o self-id.

Ddl Zan: chiamare le cose con il loro nome
La transfemminista Angela Azzaro chiarisce che il vero obiettivo del ddl Zan era l'identità di genere o self-id

I deputati, dicevamo, non l'avevano capito. Molti cittadini non l'hanno capito nemmeno oggi. Ma noi femministe radicali sì, come potete vedere dall'immagine sopra, che risale a più di un anno fa. La lotta è stata a mani nude, e davvero molto dura, in particolare su due fronti: 1. rompere il silenzio dei media 2. interloquire con il centrosinistra -area politica della grande maggioranza fra noi- per apportare modifiche al testo del ddl.

Il primo obiettivo l'abbiamo in qualche modo raggiunto: con grande fatica siamo riuscite a "bucare", abbiamo fatto un grande lavoro sui social media, siamo uscite sui giornali, abbiamo strappato qualche passaggio in tv, siamo state audite in Senato. Il secondo obiettivo, interloquire con i proponenti, l'abbiamo del tutto mancato. Con rarissime eccezioni, nessuno ha mai voluto ascoltarci e confrontarsi con noi, dal primo firmatario Alessandro Zan, ai segretari dei partiti di sinistra (PD, M5S, LeU), alle donne di quei partiti.

Un muro invalicabile, una sordità assoluta, accompagnata da sprezzo misogino: siete una minoranza retriva, non rappresentate nessuno, e così via.

Le nostre obiezioni erano fondate e ragionevoli: oltre al no all'identità di genere (art.1) chiedevamo che la legge non venisse allargata all'odio misogino -le donne non sono una minoranza da tutelare ma la maggioranza del genere umano, e il femminismo non aveva mai chiesto una legge simile, soprattutto se concessa da misogini favorevoli a utero in affitto e "sex work"-. Chiedevamo che la propaganda transattivista restasse fuori dalle scuole (art.7) e che la libertà di espressione fosse davvero garantita (art. 4).

Abbiamo perfino proposto che si tornasse a un precedente disegno di legge (Scalfarotto-Annibali) che avrebbe garantito davvero la tutela delle persone omosessuali e transessuali.

I nostri argomenti sono stati ripresi e utilizzati dai partiti di destra e dai moderati: è stato davvero sorprendente sentire nominare Judith Butler e il transumanesimo dai deputati conservatori. Ma come abbiamo visto hanno fatto breccia anche presso una piccola parte della sinistra, che alla fine non ha sostenuto il disegno di legge, facendo mancare i numeri necessari per procedere nell'iter di approvazione al Senato. E' stata qui la nostra vittoria.

Abbiamo il fondato sospetto che una parte degli stessi proponenti abbia voluto stoppare la legge, che se approvata avrebbe aperto scenari davvero difficili da gestire e giustificare di fronte a un'opinione pubblica in grande parte sfavorevole al self-id, ma tuttora ignara che il vero obiettivo del ddl fosse quello.

E dispiace davvero che le persone omosessuali e transessuali non abbiano ottenuto la tutela che chiedevano a causa della protervia del transattivismo queer: i veri omofobici e transofobici sono proprio loro.

Per noi e per tutte, una lezione: non arrendersi, mai. Oggi lo diciamo soprattutto alle sorelle spagnole e tedesche che si trovano a lottare contro leggi simili. Non avremmo mai creduto di farcela, a mani nude, contro un mainstream universale schierato a favore del ddl, ma non ci siamo lasciate scoraggiare e abbiamo raggiunto l'obiettivo, sia pure amaramente. E soprattutto, pretendere che le cose vengano chiamate con il loro nome. Non consentire che una legge il cui scopo è introdurre il self-id si presenti come qualcos'altro, mascherando il vero obiettivo dietro a proposte più ragionevoli e condivise.

Ogni volta che vedete menzionata l'identità di genere, aguzzate le orecchie, e preparatevi a lottare.

Marina Terragni (RadFem Italia, WHRC Italy)


Buona parte delle notizie pubblicate da Feminist Post non le leggerai altrove. Per questo è importante sostenerci, anche con un piccolo contributo: Feminist Post è prodotto unicamente grazie a lavoro volontario di molte e non gode di alcun finanziamento.
Se pensi che il nostro lavoro possa essere utile per la tua vita, saremo grate anche del più piccolo contributo.

Puoi darci il tuo contributo cliccando qui: Patreon - Feminist Post
Potrebbe interessarti anche
10 Novembre 2023
Accademici britannici contro la cancel culture
Il prossimo 20 novembre sarà presentato il London Universities Council for Academic Freedom, ente che riunisce un centinaio di docenti delle maggiori università inglesi con l’intento di lottare contro la censura e il pensiero unico che negli ultimi anni hanno impedito il confronto e la libertà accademica compromettendo la formazione di migliaia di studenti. Nel mirino soprattutto realtà Lgbtq+ come Stonewall che hanno pesantemente influenzato l’istruzione universitaria e superiore. Era ora, and go on!
Come riportato dal The Telegraph oltre un centinaio di accademici provenienti dalle migliori università britanniche hanno unito le forze per fronteggiare la crescente minaccia della cancel culture attraverso la creazione di un nuovo ente dedicato alla libertà accademica. In una pionieristica iniziativa gli studiosi hanno dato vita al "London Universities Council for Academic Freedom" (Consiglio delle università londinesi per la libertà accademica), che coinvolge tutte le istituzioni accademiche della capitale tra cui l'University College London (UCL), il King's College London, […]
Leggi ora
8 Novembre 2023
Canada: infermiera gender critical rischia il posto
Amy Hamm lavora in un reparto di psichiatria ed è sotto inchiesta per avere promosso in rete i diritti delle donne basati sul sesso e la tutela dei minori. Il BCCNM, ente che regolamenta la professione infermieristica, intende sospenderla a meno che non partecipi a un programma di rieducazione ma Amy si oppone: l’udienza è in corso. La giornalista USA Megyn Kelly l’ha intervistata
L'infermiera canadese Amy Hamm - una delle fondatrici della coalizione no-profit Canadian Women Sex Based Rights (caWsbar) - lavora in un reparto di psichiatria acuta specializzato in salute mentale e consumo di sostanze. Amy rischia di perdere la propria licenza infermieristica e il lavoro poiché avrebbe promosso in rete i diritti delle donne basati sul sesso e la tutela dei minori. Negli ultimi anni, Amy è stata oggetto di un'indagine da parte del British Columbia College of Nurses & Midwives […]
Leggi ora
6 Novembre 2023
Basta farmaci a bambine/i con disforia di genere!
Per molti anni pioniera dei trattamenti a base di puberty blocker e ormoni per minori “non conformi al genere” oggi la psichiatra finlandese Riittakerttu Kaltiala denuncia queste “terapie” come pericolose, inutili e prive di riscontri scientifici. E invita i medici di tutto il mondo a trovare il coraggio di rompere il silenzio imposto dalla censura degli attivisti e dal muro di gomma dei media
In Italia persiste un ostinato silenzio sui trattamenti farmacologici destinate alle/ai minori con disforia di genere (puberty blocker, ormoni cross sex, chirurgia di "riassegnazione del sesso") secondo il protocollo della cosiddetta terapia affermativa del genere. Non è possibile sapere quante/i minori siano stati trattati o stiano intraprendendo il trattamento, in quanti e quali centri vengano trattati e con quali percentuali di "successo" (o insuccesso). Mentre in tutto il mondo occidentale il dibattito è aperto da tempo e in alcuni Paesi […]
Leggi ora
24 Ottobre 2023
UDI DA APRIRE AI MASCHI: REGIONE EMILIA CONCEDE (!) UNA PROROGA
Su pressante richiesta della ministra per le PPOO Eugenia Roccella il termine fissato a UDI per adeguare il proprio statuto in modo da consentire l'iscrizione anche agli uomini slitta di 180 giorni. Nel frattempo il potente schlieniano Igor Taruffi, transfemminista assessore al Welfare e responsabile organizzazione del PD nazionale, dovrà spiegare quale passaggio della circolare sulla riforma del Terzo Settore giustifica il suo attacco al separatismo femminile
Su pressante richiesta della ministra delle PPOO Eugenia Roccella Regione Emilia Romagna ha concesso una proroga di 180 giorni alle associazioni UDI Modena, Ferrara e Ravenna perché adeguino il proprio statuto in modo da consentire l'iscrizione anche agli uomini (la vicenda ve l'abbiamo raccontata qui), statuto che in verità da tempo (2020) UDI Bologna ha già modificato in tal senso Il termine indicato per la modifica statutaria, pena l'espulsione dal registro delle associazioni del Terzo Settore (RUNTS), slitta dunque dal […]
Leggi ora
11 Ottobre 2023
Solo donne? Non si può più
Fra 10 giorni -il 21 ottobre- l’UDI Emilia Romagna potrebbe essere cancellata dal registro del Terzo Settore a meno che non accetti di iscrivere anche uomini. Così la sinistra aggredisce gli spazi politici femminili -a cominciare dalla storica associazione legata alla Resistenza- in nome dell’”inclusività” transfemminista promossa dal PD. Un rischio enorme per tutto il femminismo. Non possono averla vinta
Gli spazi delle donne sotto attacco. Non solo quelli fisici -spogliatoi, sport, case rifugio, reparti ospedalieri, carceri- ma anche quelli simbolici e politici. Se non ammetti anche persone di sesso maschile, chiudi e sparisci. Incredibile ed esemplare quello che sta capitando a UDI, Unione Donne in Italia, associazione storica attiva da quasi 80 anni storicamente legata alla sinistra. Molte delle UDI emiliano-romagnole sono a rischio di imminente cancellazione dal RUNTS, registro unico nazionale del Terzo Settore, semplicemente per il fatto […]
Leggi ora
4 Ottobre 2023
UK: fuori dai reparti ospedalieri femminili gli uomini che "si identificano" come donne
All’iniziativa woke dell’ordine dei medici britannico che ha ordinato ai propri associati di non utilizzare più i termini “donna” e “madre” risponde il governo Sunak che ripristina il criterio del sesso biologico e abbandona quello dell’identità di genere nel servizio sanitario. Perché c’è bisogno di tornare al buon senso
In UK infuria la battaglia sugli spazi fisici e simbolici riservati alle donne. All'ordine dei medici britannico (General Medical Council) che nelle sue linee guida ha ingiunto di cancellare le parole "donna" e "madre", risponde a breve giro l'iniziativa del governo Sunak che ripristina il criterio del sesso biologico e abbandona quello dell’identità di genere nel servizio sanitario: i transessuali MtF -cioè biologicamente maschi- non saranno più alloggiati nei reparti ospedalieri femminili anche se si identificano come donne. Questa settimana […]
Leggi ora