Vagina? No. Si chiama "buco supplementare"

Il linguaggio woke pretende di essere inclusivo a spese esclusive delle donne, che devono letteralmente scomparire: gravidanza, allattamento, organi sessuali femminili non possono più essere nominati per non offendere le ultraminoranze trans e non-binary. E’ l’ultima ridicola mossa del patriarcato morente che fin dalle origini si è edificato sulla marginalizzazione e sulla cancellazione del femminile. Ci prova ancora, ma non ci riuscirà
Condividi questo articolo

I transattivisti sono ridicoli: per non "offendere" l'ultraesigua minoranza di donne che si dichiarano maschi pur conservando l'organo genitale femminile la vagina non può più essere chiamata in questo modo. Bonus hole, buco supplementare: il termine è questo. Nemmeno front hole basta più: si deve sottolineare meglio la sua inservibilità.

Un lavorio incessante per cancellare le donne dal linguaggio e dal simbolico, mossa in extremis del patriarcato che si è edificato fin dal principio sulla cancellazione e sull'abiezione del femminile, e nella sua fase terminale fa quest'ultimo tentativo per salvarsi.

Finirà ugualmente.

L'articolo sul Telegraph è di Hannah Betts.


Il recente uso da parte di un ente di beneficenza del termine "buco supplementare" per riferirsi alla vagina, è l'ultima aggiunta a un deprimente glossario delle guerre di identità.

Nell'ultimo dibattito pubblico su termini per identificare in qualche modo una donna "femmina" un ente di beneficenza sta consigliando ai medici di riferirsi alla vagina con la bizzarra frase "buco supplementare". Jo's Cervical Cancer Trust in una guida propone "buco supplementare" e "buco davanti " come alternative accettabili a vagina, il cui uso potrebbe "far sentire qualcuno ferito o angosciato". La guida è progettata per rivolgersi a uomini trans (donne di nascita) e individui non binari.

Chi critica queste scelte le legge come un altro esempio della tendenza inquietante per la quale cui la parola "donna" o le parole a essa collegate vengono cancellate da termini che includono individui trans e non binari, pena l'etichetta dell'utente come TERF (trans exclusionary radical feminist).

La scorsa settimana [lunedì 03/07] è stato reso noto che la Banca d'Inghilterra nelle sue politiche di congedo familiare.sta sostituendo il termine "madre" con "genitore di nascita".

Abbiamo "persone che hanno le mestruazioni" (utilizzato dal sito web di sviluppo Devex); "persone incinte" (in un comunicato stampa dell'American Civil Liberties Union sull'aborto); e "allattamento al petto" (sollecitato dal servizio sanitario inglese come sostituto di "allattamento al seno").

Dal 2018, Cancer Research UK esorta "chiunque abbia una cervice" a sottoporsi a screening. Mentre nel 2021 The Lancet si è scusato per una copertina in cui le donne sono state definite "corpi con vagine".

Il mese scorso c'è stato un tumulto per un glossario online di termini LGBTQ apparso su un sito web della John Hopkins University in cui la frase "non-uomo attratto da non-uomini" – piuttosto che "donna omosessuale" – è stata usata per riferirsi alle lesbiche.

Il glossario non era stato ufficialmente autorizzato ed è stato rapidamente rimosso ma solo dopo l'indignazione che una donna lesbica che era stata definita “non uomo”. La star del tennis omosessuale Martina Navratilova ha twittato: "Lesbica era rimasta letteralmente l'unica parola in lingua inglese non legata all'uomo" obiettando che questo costituiva "un altro esempio di cancellazione delle donne". Mentre la scrittrice JK Rowling ha osservato: "Uomo: nessuna definizione necessaria. Non-uomo (precedentemente noto come donna): un essere definibile solo con riferimento al maschio. Un'assenza, un vuoto dove non c'è virilità".

Deborah Cameron, docente di lingua e comunicazione all'Università di Oxford, conferma che questo modo di definire "lesbica" è stato un tema controverso per diversi anni ed è fortemente associato all'attivismo trans. "Non-uomini' è stato anche usato, ad esempio, dal Partito dei Verdi come termine-ombrello per donne, persone trans e non binarie - cioè, tutti coloro che non sono uomini [alla nascita] - e questo ha l'effetto di rendere gli uomini la norma umana di default" dice. "È ironico che nei loro sforzi per affermare la diversità e la non binarietà del genere organizzazioni come i Verdi abbiano optato per una terminologia totalmente binaria e chiaramente gerarchica in cui ognuno è un uomo o un non-uomo".

Eppure mentre la parola "donna" è diventata luogo di ansia culturale, il termine "uomo" sembra essere considerato non problematico." La parola uomo non viene evitata, anche se per logica dovrebbero applicarsi le stesse considerazioni sull'inclusione " dice Cameron. "Perché non veniamo esortati a usare termini come 'inseminatori' o 'chiunque abbia una prostata' sulla base del fatto che alcune donne producono sperma mentre alcuni uomini no?". "È il linguaggio usato da e sulle donne a essere implacabilmente controllato: non abbiamo la stessa tradizione di dettare legge agli uomini e aspettarci che si conformino".

Potrebbe sembrare che le cose siano sempre andate in questo modo, come se la lingua inglese avesse sempre cospirato per attaccare, denigrare, confinare o cancellare le donne. Si pensi al classico saggio di Muriel R. Schulz della metà degli anni Settanta, The Semantic Derogation of Woman, che traccia il modo in cui anche termini apparentemente neutri per indicare "femminile" si sono trasformati in insulti sessuali. Questo processo dispregiativo comprende designazioni come "signora e/o madama", "signorina" e "padrona", una volta titoli di cortesia e in seguito eufemismi per identificare la proprietaria di bordelli, la donna prostituita e "una donna con cui un uomo ha una relazione",.

Idem le definizioni professionali come "monaca" (una volta usato come eufemismo per "cortigiana") e soprannomi come "Dolly", "Kitty", "Biddy", "Gill" e "Polly" - tutti usati a un certo punto per significare troia, amante o prostituta (confrontatele con i contenuti nelle nostre "Tracy" e "Sharon", "Stacey" e "Becky" americane, o in quel luogo comune britannico e americano per disprezzare le donne di mezza età, "Karen").

Eppure ai lettori del meraviglioso nuovo libro della dottoressa Jenni Nuttall, Mother Tongue: The Surprising History of Women's Words, viene presentata l'idea che nel suo primo millennio la lingua inglese sia stata più inclusiva. Secondo Nuttall l'inglese antico e il medio inglese offrivano una gamma più ricca e dinamica di possibilità linguistiche per descrivere l'esperienza delle donne rispetto alla lingua moderna."Le mestruazioni erano chiamati fiori" dice. Più affascinante, forse, di parole come mestruazioni o ciclo mensile che fanno semplicemente riferimento al tempo. Dolori, folle o lanci sono stati utilizzati al posto della più formale "contrazione" nel parto.

"Signora" era fino al 1740 un termine rispettoso che indicava le donne sposate e non sposate di status sociale sufficiente, la parola signorina era riservata alle ragazze. Fu solo intorno al 1800 che i pregiudizi di genere più oppressivi divennero la norma, quando alcune parti della società iniziarono a resistere al cambiamento.

Si scopre che, prima che le mode georgiane e vittoriane sulla morale personale smorzassero la discussione, c'era una grande varietà di parole femminili, non conformi e spesso stupefacenti. Nomi gergali per lesbiche come rubsters, tribades, o coloro che giocavano al gioco delle carte (Il lesbismo venne chiamato The game of Flats nel 18.mo secolo) scomparvero, al punto che nel 1921 il Lord Cancelliere affermò in Parlamento che solo una donna su mille sapeva qualcosa sul sesso lesbico. E quello che una volta era chiamato il tempo di schivata (perché le mestruazioni diventano irregolari) è stato ribattezzato perimenopausa.

La professoressa Deborah Cameron osserva che le parole hanno origini storiche; la terminologia anatomica sessista è stata importata dal latino durante il Rinascimento mentre il vocabolario sessista sulla sessualità femminile (come frigida o ninfomane) si è imposto con l'ascesa della sessuologia alla fine del 19° e all'inizio del 20° secolo.

Indipendentemente da questo, l'analisi digitale – disponibile dal 1990 – ha rivelato che il sessismo linguistico è sistematico.

È un argomento che il prossimo libro di Cameron, Language, Sexism and Misogyny, affronterà entro la fine dell'anno. Lei anticipa: il libro si occupa anche di mansplaining, di "manterruption" e delle "ipotesi maschili predefinite incorporate nella grammatica di molte lingue, come la tradizione di riferirsi a un ipotetico artista o scienziato come 'lui', o il fatto che, in francese, un gruppo di 1.000 donne e un uomo riceveranno ancora il pronome plurale maschile 'ils'".

Si prenderà in considerazione anche il modo in cui ci rivolgiamo e ci riferiamo alle donne, sottolineando il loro status diverso e diseguale attraverso nomi, titoli, termini affettuosi e insulti sessualizzati. Pensiamo a donne come Miriam González Durántez criticate per non aver usato il cognome del marito (Clegg); le donne sono obbligate a specificare se sono signorina o signora, mentre gli uomini sono semplicemente signori; il termine puttane non ha equivalenti maschili.

Alcuni libri, come Wordslut di Amanda Montell (2019) e Hags di Victoria Smith (2023), apprezzano il recupero di quelli che erano stati considerati termini negativi. Smith è autrice di una newsletter intitolata "The OK Karen". Spiega: "Quando ho chiamato il mio libro Hags (Streghe) mi è sembrato un termine incisivo per 'donne di mezza età che vengono diffamate'. E poiché può essere utilizzato in modo ironico, possiamo usarlo tra di noi anche se gli altri lo usano contro di noi.

La consapevolezza è importante per correggere i pregiudizi linguistici. Faccio parte di una generazione che si emoziona nel sentire le nipoti descritte come "con capacità di leadership" mentre una volta ero condannata come "prepotente". Ma la consapevolezza è costruttiva solo quando riflette un cambiamento sociale. La graduale accettazione di "chair" e "chairperson" negli anni Ottanta e Novanta ha avuto un impatto perché le donne hanno effettivamente iniziato a occupare quelle posizioni.

Nuttall è una delle tante che sostengono che l'inclusività trans e non binaria non deve avvenire a spese del genere storicamente emarginato e crede nell'uso di un linguaggio neutro rispetto al genere accanto al linguaggio che rappresenta il femminile (nella frase "donne e persone incinte", per esempio).

Non può essere anti-woke volere che le donne siano incluse.

articolo originale qui, traduzione di Rita Paltrinieri.


Buona parte delle notizie pubblicate da Feminist Post non le leggerai altrove. Per questo è importante sostenerci, anche con un piccolo contributo: Feminist Post è prodotto unicamente grazie a lavoro volontario di molte e non gode di alcun finanziamento.
Se pensi che il nostro lavoro possa essere utile per la tua vita, saremo grate anche del più piccolo contributo.

Puoi darci il tuo contributo cliccando qui: Patreon - Feminist Post
Potrebbe interessarti anche
20 Settembre 2023
UK, non si può più dire "donna" o "madre": le disposizioni woke del General Medical Council
Decisione di inaudita violenza del registro dei medici britannici: la parola donna va cancellata a ogni livello. Non può essere nominata nemmeno quando si parla di maternità, di parto, di allattamento, di menopausa. Perfino il 999, numero delle emergenze, non può più chiedere di che sesso è la persona che chiede aiuto. I woke sanno benissimo che il corpo femminile è il principale ostacolo al progetto transumano. E vogliono cancellarlo perfino nel linguaggio
Continua a succedere: le donne e le madri vanno cancellate anche dal vocabolario, a ogni livello. Non si arrendono perché il simbolico materno è l'ostacolo più resistente al progetto transumano. Non ci arrenderemo neanche noi. Se lo scordino Il General Medical Council -ente pubblico che conserva il registro ufficiale dei medici nel Regno Unito- ha sostituito la parola "madre" con termini neutri nella sua guida alla maternità per il personale. La guida aggiornata per le dipendenti che rimangono incinte omette […]
Leggi ora
11 Settembre 2023
Uteri femminili in corpi maschili
Il sogno invidioso di sempre -poter fare figli senza le donne, cancellare le madri, insomma il Graal- è sempre più vicino a realizzarsi: nel giro di 5-10 anni anche le persone trans MtF, biologicamente uomini, potranno ricevere un trapianto di utero e condurre una gestazione. Desiderio-diritto “inclusivo” che migliorerebbe la qualità della loro vita e attenuerebbe i sintomi della disforia. Mentre la vita e la salute di bambine e bambini nati da queste pratiche non preoccupano i bioetici
Euronews dà conto dei rapidi progressi della ricerca sul fronte del trapianto di utero, con particolare riferimento alla richiesta delle persone trans MtF il cui corpo resta biologicamente maschile, mentre le persone FtM, se conservano il loro apparto genitale femminile, possono intraprendere una gravidanza come qualunque altra donna: i "padri incinti" di cui la stampa mainstream ama dare notizia non sono altro che donne che si autoidentificano come uomini. Nell'articolo, che qui traduciamo, le donne vengono definite donne cis-, suffisso […]
Leggi ora
9 Agosto 2023
Spagna: detenuta incinta di compagno di cella trans
L’uomo -corpo maschile intatto e nessuna terapia ormonale- aveva chiesto e ottenuto di essere spostato nel carcere femminile di Alicante perché si “autopercepiva” donna (self-id). La gravidanza di una compagna di cella è il risultato. E la nuova Ley Trans, in vigore dal dicembre 2022, renderà più facili e frequenti questi trasferimenti
Nel Centro Penitenziario di Alicante Cumplimiento, noto come carcere di Fontcalent, un detenuto che si identifica come donna ha messo incinta una compagna di cella. Secondo il racconto confermato da diverse fonti penitenziarie, il detenuto stava scontando da diversi anni una pena nel modulo maschile del carcere, ma durante la sua permanenza ha iniziato a identificarsi come donna. Sui documenti continua a comparire come uomo e non si è mai sottoposto a trattamenti ormonali né tanto meno a interventi chirurgici. […]
Leggi ora
4 Agosto 2023
Maternità lesbica: lettera aperta a Kathleen Stock
La filosofa gender critical si dice preoccupata per i diritti delle madri lesbiche negati “dal governo Meloni”. Ma a decidere che solo le madri biologiche possono comparire negli atti di nascita è stata la magistratura e non il governo. Perché il diritto possa riconoscere la differenza sessuale nella procreazione è necessario che le donne omosessuali rompano il fronte con i ricchi maschi gay che ricorrono a utero in affitto: l’omogenitorialità è solo ideologia
Abbiamo seguito con attenzione e sorellanza la vicenda di Kathleen Stock, filosofa gender critical, autrice tra l'altro di Material Girls: Why Reality Matters for Feminism (Little, Brown Book Group, 2021) ed ex-docente all'università del Sussex perseguitata dai transattivisti: la sua storia l'abbiamo raccontata qui. Insieme a Martina Navratilova e a Julie Bindel Stock ha recentemente fondato The Lesbian Project allo scopo di riaffermare la specificità dell'identità lesbica. Finalità del progetto è "fermare la scomparsa delle lesbiche nella zuppa arcobaleno e dare […]
Leggi ora
3 Agosto 2023
Il "diritto" ad avere una schiava: Agar e l'utero in affitto
Da giorni i sostenitori della Gpa rilanciano festanti la “notizia”: perfino Dio ammette che una donna faccia un figlio per altri come dimostra la narrazione biblica di Sara -moglie di Abramo incapace di concepire- e della sua serva Agar che le prestò il grembo. Si rivendicano quindi anche oggi temporary slave a disposizione: un vero cortocircuito etico e politico. E un autogoal. Anche perché il racconto di Genesi andrebbe letto tutto
Da giorni sui social i sostenitori dell'utero in affitto, in particolare molti attivisti Lgbtq+ e loro sostenitori, rilanciano la storia della schiava Agar e di suo figlio Ismaele (Genesi 16 e 21) per supportare la liceità e la bontà della propria causa. Il senso sarebbe: perfino Dio ammette che una donna faccia un figlio per altri. Dunque: niente di male nella nostra rivendicazione. Di fatto, anche noi abbiamo diritto ad avere schiave. Un cortocircuito logico, politico ed etico. Non sanno […]
Leggi ora
2 Agosto 2023
Sfuggire alla follia trans
“Voglio che si sappia che c’è una speranza. I giovani con ‘disforia di genere’ e le loro famiglie possono essere aiutati con un percorso psicologico” scrive nel suo ultimo libro la psichiatra americana Miriam Grossman. Spiegando nei particolari ed empaticamente la sua proposta terapeutica. E indicando nella propaganda martellante del transcult l’ostacolo più insidioso
Miriam Grossman è una psichiatra statunitense. Quello che segue è un estratto modificato pubblicato da Gender Clinic News del suo nuovo saggio Lost in Trans Nation: A Child Psychiatrist's Guide Out of the Madness. Una lettura molto interessante ed "empatica" soprattutto per quelle famiglie che si trovino ad affrontare il problema di una figlia/o adolescente con "disagio di genere". James sfoggia una barba trasandata. Sarah indossa gonne e non si preoccupa dei pronomi. Taylor vuole parlare del college, non del […]
Leggi ora