21 Settembre 2022

RU486 o pillola abortiva: miti, fraintendimenti e business

L'aborto chimico viene venduto come più libero e autodeterminato, ma non è la soluzione per tutte: è più lungo e doloroso di quello chirurgico, a volte meno sicuro e serve soprattutto a far risparmiare il sistema sanitario come spiega il saggio di tre femministe americane. Alle donne va garantito il diritto di essere informate e di scegliere consapevolmente tra le due opzioni: ecco una proposta di legge per fare funzionare gli ospedali
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Qualche giorno fa abbiamo pubblicato “Quando l’aborto interessa agli uomini”. Nella postilla abbiamo accennato ai diversi metodi di interruzione involontaria di gravidanza, tra cui la pillola abortiva RU 486, anche detta “aborto chimico”.

Dell'aborto chimico si parla come di un passo avanti nell'autodeterminazione. Soprattutto le più giovani possono fare confusione tra contraccezione "del giorno dopo" (che va assunta entro 72 ore dal rapporto a rischio) e pillola abortiva, con la quale si può interrompere la gravidanza fino alla 9a settimana.

Alle ragazze va spiegato che la RU486 non fa "sparire" la gravidanza, ma appunto la interrompe, e si conclude con l'espulsione del contenuto dell'utero. Il processo è notevolmente più lungo e doloroso rispetto all'aborto chirurgico (aspirazione o metodo Karman): 3 giorni e oltre per la RU486, pochi minuti in sedazione e quasi sempre ricovero in day hospital per il Karman. La scelta tra i due metodi deve essere consapevole. La RU486 non è necessariamente un aborto "più facile", perché può comportare un notevole impegno fisico e psicologico che non tutte sono in grado di affrontare. Che la RU486 garantisca un aborto più "libero" è tutto da dimostrare.

Il Ministero per la Salute ha autorizzato la somministrazione della RU486 nei consultori, ma nella gran parte delle regioni la pratica non ha ancora corso: né nelle Marche, di cui si è parlato molto in questi giorni, né nell'Emilia rossa. Una prudenza che non va stigmatizzata: ci si deve accertare che i consultori, su cui vi è stato un notevole disinvestimento negli ultimi anni, siano davvero in grado di accompagnare il percorso abortivo e di gestire in tempi rapidi eventuali complicazioni.

Per fare ulteriore chiarezza, vi segnaliamo uno dei libri fondamentali per capire il dibattito sull’aborto chimico: “RU 486: Misconceptions, Myths and Morals” (RU 486: Idee sbagliate, miti e morale).
Pubblicato dalla casa editrice femminista Spinifex Press, fu nominato per il Premio per i Diritti Umani australiano alla prima pubblicazione (1991), ristampato e aggiornato nel corso degli anni, fino a una nuova edizione nel 2013 (il testo integrale si trova qui).

Il libro è frutto del lavoro di tre studiose: Renate Klein, biologa e docente di Women’s Studies alla Deakin University, Janice G. Raymond, nota femminista americana e professoressa emerita di Women’s Studies e bioetica all’Università del Massachusetts, e Lynette J. Dumble, chirurga e ricercatrice presso il Royal Melbourne Hospital e visiting professor di chirurgia presso l'Università del Texas.

Ecco la traduzione del sommario di “RU 486: Misconceptions, Myths and Morals”, dal sito dell’editore:

“Questo libro è diventato un testo classico per gli attivisti della salute e le femministe interessate alle complessità di come i farmaci vengono sviluppati, commercializzati e venduti alle donne di tutto il mondo. In questo libro le autrici ripercorrono l'insolita storia della pillola abortiva francese RU 486 (mifepristone). Esaminano la scienza e la politica dalla sua nascita fino all'uso sulle donne.

- La RU 486 è un farmaco miracoloso per l'aborto, un'alternativa sicura ed efficace alle procedure abortive convenzionali?
- Privatizza e de-medicalizza l'esperienza dell'aborto?
- La sua disponibilità è una "vittoria" per le donne?
- La RU 486 è sicura per l'uso nei Paesi del Terzo Mondo e nelle aree rurali remote?
- Chi beneficia dell'aborto chimico e che influenza ha la RU 486 sui servizi abortivi esistenti?

Le autrici sostengono che le affermazioni positive sulla RU 486 (mifepristone) sono piene di miti e idee sbagliate. La RU 486 usata da sola è un abortivo fallimentare e necessita dell'aggiunta di una prostaglandina, un farmaco pericoloso. Ma le percentuali di "successo" del cocktail di farmaci RU 486/prostaglandina rimangono tra il 92 e il 95 percento, rispetto al 98-99 percento degli aborti per aspirazione. L'aborto per aspirazione, che è meglio praticare con un anestetico locale, non comporta l'uso di farmaci nocivi e si conclude in 30 minuti. Al contrario, gli aborti con RU 486/PG durano giorni, a volte settimane.

Sanguinamenti abbondanti, trasfusioni, vomito, dolore intenso e infezioni sono tra gli effetti collaterali imprevedibili. Alcune donne sono morte per sepsi ed eventi cardiovascolari. L'aborto con la RU 486/prostaglandina va a vantaggio della professione medica, delle aziende farmaceutiche e delle economie sanitarie del governo.

Attraverso un'accurata ricerca e analisi, le autrici scoprono la verità: l'aborto chimico è mal concepito e non etico. Esse avvertono che i servizi abortivi a bassa tecnologia sono in pericolo, poiché il mainstream saluta l'aborto con la RU 486 come "sicuro ed efficace", cosa che non è.”

(testo originale qui, traduzione di Maria Celeste)

In Italia un aborto con metodo Karman costa mediamente 1200 euro, mentre per un aborto chimico ne bastano 40. Per questa ragione il sistema sanitario nazionale ha tutto l'interesse a promuovere la RU486. Noi diciamo invece che a una donna che vuole interrompere la gravidanza va garantita la possibilità di scegliere tra i due metodi. Scelta che può essere praticata solo a condizione che gli ospedali continuino a farsi carico delle IVG chirurgiche.

Gli alti tassi di obiezione rendono spesso complicata questa opzione. Una difficoltà che perdura da anni. Insieme all'anestesista non obiettrice Mercedes Lanzilotta, Marina Terragni ha prodotto una proposta di legge in materia che a suo tempo è stata depositata alla Camera. Nessun partito ha ritenuto di considerarla, tanto meno i "paladini" a sinistra: di aborto si parla solo in tempo di elezioni, normalmente il tema resta nel dimenticatoio.

Ve la riproponiamo: i dati ovviamente andrebbero aggiornati, ma l'impianto della proposta resta valido.

PROPOSTA SULLA LEGGE 194 E L'OBIEZIONE DI COSCIENZA

La legge 194 che regola l’interruzione di gravidanza è una legge efficace, che ha consentito dagli anni Ottanta a oggi una riduzione complessiva intorno al 55 per cento delle Ivg: 102.644 interventi nel 2013, con decremento del 4.2 per cento rispetto al 2012 e un decremento del 56.3 per cento rispetto al 1982, picco massimo dall’entrata in vigore della legge nel 1978. I dati non sono definitivi in quanto alcune regioni –Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia- non abbiano comunicato i loro numeri, come previsto dalla legge. Circa un terzo (il 34 per cento) delle interruzioni riguarda le cittadine straniere. Rispetto alle altre nazioni europee, che registrano il maggiore tasso di abortività tra le under 25, in Italia vi è un’alta percentuale di Ivg tra le 30-39 enni, verosimilmente a causa delle difficoltà economiche e del minor tasso i occupazione femminile.

Ciononostante la legge 194 oggi è in grande parte inapplicata a causa delle altissime percentuali di obiezione di coscienza del personale medico e paramedico (ginecologi, anestesisti, personale di sala): un’obiezione media del 70 per cento, con punte fino al 90 per cento in Campania, in Lazio, e oltre l’80 per cento in Molise, Sicilia, Veneto e Puglia, e interi ospedali che non garantiscono il servizio (obiezione di struttura). La recente relazione annuale della ministra per la Salute Beatrice Lorenzin sulla legge 194 non riporta dati assoluti sull’obiezione del personale medico e paramedico. Per quanto riguarda invece l’obiezione di struttura, essa riguarda ben il 36 per cento dei reparti di ginecologia e ostetricia.

Anche l’attività dei Consultori si è fortemente ridotta: diminuisce il numero (per esempio, in Lombardia si è passati dai 335 Consultori del 1997 agli attuali 200 circa) e viene depotenziata la loro capacità di azione.

Il 16/5/2014 un decreto della regione Lazio ha ribadito i compiti dei Consultori chiarendo che tutti i medici, obiettori e non obiettori, devono garantire le funzioni di:

1. prevenzione delle gravidanze indesiderate

2. certificazione dello stato di gravidanza e eventuale volontà alla interruzione.

3. prescrizione contraccettivi

4. prescrizione della RU486, la cosiddetta pillola abortiva.

Il diritto di obiezione può cioè essere esercitato solo per quello che riguarda l’atto tecnico dell’interruzione di gravidanza.

Ma dopo che il Tar del Lazio aveva approvato la delibera, il Consiglio di Stato, a seguito di un ricorso del Movimento per la Vita, ha parzialmente sospeso in sede cautelare parte del decreto.

A questi attacchi all’applicazione della legge e ai consultori si accompagna infatti la costante iniziativa del Movimento per la Vita, in Italia e in Europa, oltre al proliferare dei cimiteri dei non-nati, con cerimonie di sepoltura dei prodotti abortivi. E’ bene ricordare che il diritto di seppellire i feti di qualunque età gestazionale è già garantito da un decreto presidenziale del 1990. Non vi è quindi alcuna necessità, se non ideologica e propagandistica, di istituire cimiteri dedicati.

Tornando all’obiezione di coscienza che impedisce l’applicazione della 194 in molte aree del territorio nazionale: va rilevato anche un’altissimo tasso di obiezione nel personale paramedico, questione trascurata dalla relazione della ministra Lorernzin, realtà che, anche in presenza di un numero sufficiente di medici non-obiettori, rende di fatto problematica l’esecuzione degli interventi.

A questa obiezione massiccia consegue

1. un ritorno all’aborto clandestino

Il Ministero della Sanità stima tra le 12 mila e le 15 mila le interruzioni clandestine fra le donne italiane, e intorno ai 5 mila i casi di aborto clandestino tra le cittadine straniere: stima in difetto perché nelle ostetricie è in costante aumento il numero degli “aborti spontanei”, che non riguardano solo i sottoscala delle Chinatown, vedi il recente caso della diciassettenne genovese in fin di vita in seguito ad assunzione di un farmaco anti-ulcera fusato come abortivo e facilissimamente reperibile online e al mercato nero in molte realtà urbani. Nei nostri Tribunali sono aperti circa 200 procedimenti penali per violazione della legge 194. Almeno un terzo degli aborti “spontanei” sarebbe attribuibile al “fai da te”, aborti non completi eseguiti in cliniche fuorilegge o provocati con farmaci reperibili sul Web o in farmacie compiacenti

2. Turismo abortivo: fenomeno che colpisce particolarmente il Veneto con migrazioni in Emilia Romagna dove la legge funziona meglio, il Lazio con migrazioni in Toscana, e così via. Il tasso di abortività per regione rilevato dal Ministero per la Salute è spesso falsato dalle migrazioni interne. Per esempio: in Basilicata nel 2012 si è verificato un flusso di circa 300 donne in uscita verso la Puglia per Ivg (per valutare il dato, si tenga conto del fatto che la Basilicata conta una popolazione complessiva di 576 mila abitanti)

3. incremento del business dell’aborto:

per esempio, delle 3776 IVG effettuate nell’ASL di Bari nel 2011, 2606, ovvero il 70 per cento, sono state praticate in case di cura convenzionate, 1170 (il 30 per cento) negli ospedali pubblici. Il DRG per IVG ammonta a una cifra tra i 1100 e 1600 Euro. Questo significa 3.000.0000 di euro nelle casse del privato (privato in cui l’obiezione è poco significativa).

E’ legittimo un diritto di obiezione per i dipendenti di strutture pubbliche, che nei fatti rifiutano di applicare una legge dello Stato?

L’obiezione di coscienza è un diritto garantito dall’articolo 9 della legge 194, che è una legge a rilevanza Costituzionale. E’ garantito anche dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, laddove sancisce che “gli stati membri sono tenuti a organizzare i loro servizi sanitari in modo da assicurare l'esercizio effettivo della libertà di coscienza dei professionisti della salute”.

Tuttavia, se il diritto alla obiezione deve essere garantito, la Corte di Strasburgo afferma che ciò non deve impedire ai pazienti di accedere a servizi a cui hanno legalmente diritto (sentenza della Corte del 26.5.2011). L’Europa quindi sostiene la necessità che lo Stato preveda l’obiezione a condizione che non ostacoli l’erogazione del servizio.

L’8.03.2014 il Consiglio d’Europa ha condannato L’Italia “a causa dell’elevato numero degli obiettori di coscienza. L’Italia viola i diritti delle donne che alle condizioni prescritte dalla 194 del 1978 intendono interrompere la gravidanza.

Il 10 marzo 2015 il Parlamento europeo ha approvato a larga maggioranza la cosidetta risoluzione Tarabella, che tra l’altro afferma che le donne devono «avere il controllo dei loro diritti sessuali e riproduttivi, segnatamente attraverso un accesso agevole alla contraccezione e all’aborto».

Come si spiega un’obiezione così massiccia nel nostro Paese?

1. ragioni di carriera: spesso la scelta di non obiettare comporta che lo specializzando si ponga contro il suo Direttore di Cattedra, e questo finisce per ostacolare il suo percorso professionale

2. eccessivi carichi di lavoro, economicamente e professionalmente non remunerativi, nonostante la ministra per la Salute sostenga che “il numero dei non-obiettori nelle strutture ospedaliere risulta congruo rispetto alle Ivg effettuate”, dato smentito dall’esperienza quotidiana dei non-obiettori e dall’alto numero di migrazioni per Ivg, pratica assai diffusa in particolare in regioni come Lazio, Molise, Basilicata, Veneto e Campania.

3. sindrome del burnout: da non obiettore si diventa obiettore per stanchezza e per le difficoltà connesse a un lavoro che ti pone costantemente di fronte a questioni etiche. Burnout non dissimile a quello che affligge medici e personale sanitario dei Pronto Soccorso, delle Terapie del Dolore e Cure Palliative, della Rianimazione, ecc. Chi fa IVG per anni, senza rotazione a causa dell’esiguo numero di non obiettori, spesso è tentato di gettare la spugna

4. motivazioni religiose

a questo riguardo, due osservazioni:

1. Il credo dei Testimoni di Geova proibisce le trasfusioni di sangue. Coerentemente nessun Testimone di Geova sceglie specializzazioni come Anestesiologia o Ematologia, la cui pratica porrebbe costanti conflitti etici.

Analogamente chi sceglie ginecologia dovrebbe sapere bene che tra i suoi compiti ci sono anche quelli previsti dalla legge 194 in ogni sua parte: dalla prescrizione di contraccettivi a quella del del Levonogestrel e della RU 486, all’interruzione chirurgica di una gravidanza non desiderata all’aborto terapeutico. Perché scegliere questa specialità se ragioni etiche impediscono di accettare una cospicua parte del proprio lavoro, “scaricandolo” sui colleghi?

2. gli obiettori di coscienza effettuano normalmente sia la villocentesi che l’amniocentesi. In tutto il Territorio Italiano è possibile effettuare entrambe le procedure diagnostiche in strutture pubbliche, private convenzionate laiche e confessionali (come il San Raffaele a Milano). Ma amniocentesi e villocentesi si effettuano per una diagnosi prenatale, cioè permettono di analizzare il numero e la forma dei cromosomi del feto, di accertare se il feto è affetto da malattia cromosomica come la Trisomia 21 (Sindrome di Down), se vi è rischio di Talassemia o di Fibrosi Cistica.

Questi esami diagnostici sono la “conditio sine qua non” dell’aborto terapeutico.

Eppure gli operatori sono gran parte medici obiettori.

Le procedure vengono effettuate anche in strutture private convenzionate confessionali dove si pratica obiezione di struttura. La problematica è nota ma tollerata dagli organi competenti.

PROPOSTA POLITICA

Il diritto all’obiezione di coscienza non può essere negato. Inutile quindi avventurarsi per questa strada. Questo diritto è garantito dall’art 3 della nostra Costituzione, dall’articolo 9 della 194 e dall’Europa.

Nemmeno la mobilità del personale, proposta da più parti -alcuni senatori del PD, Scelta Civica, M5S- può essere la soluzione. I medici non obiettori sono pochissimi. Costringerli alla mobilità su più strutture significherebbe “condannarli” a eseguire esclusivamente aborti, negando il resto della loro professionalità.

Molte regioni italiane risolvono il problema chiamando medici non obiettori “a gettone” per garantire l’applicazione della legge, e retribuendoli in modo cospicuo: ma non si possono fare soldi sulla pelle delle donne, in un’inaccettabile logica mercenaria.

La soluzione che proponiamo è un’altra:

Ogni reparto di ostetricia, e allo stesso modo i consultori, devono prevedere il 50 per cento di medici non obiettori, con presenza H24 di un’équipe che garantisca l’intera applicazione della legge 194, dalla prescrizione della pillola del giorno dopo all’aborto terapeutico, e consenta così la rotazione del personale medico e paramedico.

Una sentenza del TAR PUGLIA (14/09/2010, n. 3477, sez. II) afferma che “ è possibile predisporre per il futuro bandi finalizzati alla pubblicazione dei turni vacanti per i singoli Consultori ed Ospedali che prevedano una riserva di posti del 50% per medici specialisti che non abbiano prestato obiezione di coscienza e al tempo stesso una riserva di posti del restante 50% per medici specialisti obiettori”.

Opzione equa, ragionevole e praticabile che non si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione e consentirebbe la piena applicazione della legge 194.

Il TAR dell’Emilia Romagna chiarisce inoltre un importante aspetto legato all’obiezione di coscienza:

(sez. Parma, 13 dicembre 1982, n. 289, in Foro amm. 1983, 735 ss). Si precisa infatti che “la clausola che condiziona l'assunzione di un sanitario alla non presentazione dell'obiezione di coscienza ai sensi dell'art. 9 risponde all'esigenza di consentire l'effettuazione del servizio pubblico per il quale il dipendente è assunto, secondo una prospettiva non estranea alle intenzioni del legislatore del 1978”.


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