Bambini portati via come se fossero cose

Non esistono leggi che autorizzino il prelievo violento di minori. I servizi sociali, gli unici titolati a intervenire in questi casi, devono rifiutarsi di eseguire gli ordini dei tribunali. Medici e psicologi non possono supportare queste azioni traumatiche. I giudici devono rispettare norme nazionali e convenzioni internazionali. Il governo e il parlamento fermino questa giostra indegna ai danni dei piccoli e delle loro madri
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Le leggi spesso non ci sono, oppure se ci sono vengono interpretate in modo antigiuridico (si veda la legge 54/06 con i suoi articoli 155 e 155bis che vanno letti in modo coordinato) o semplicemente non vengono applicate

Tra le leggi non applicate vi è la Convenzione di Istanbul, legge 77/2013,  che con i suoi due articoli 26 e 31 impone che nei casi di violenza domestica la madre e il bambino siano messi ambedue in protezione e che l’affido non comporti alcuna condivisione e compresenza con il genitore (il padre) violento. 

La Convenzione di Istanbul è ancora in larga parte disattesa ed ignorata.

Dall’audizione al Senato di Laura Sabbadini e Maria Monteleone, autrici della relazione alla Commissione Femminicidio su: “Analisi delle indagini condotte presso le Procure della Repubblica, i Tribunali Ordinari, i Tribunali di Sorveglianza, il Consiglio Superiore della Magistratura, la Scuola Superiore della Magistratura, il Consiglio Nazionale Forense e gli Ordini degli Psicologi”, apprendiamo che:

L’esito delle indagini svolte segnala, perciò, una sostanziale difficoltà, anche di tipo culturale, nella conoscenza del fenomeno. Ciò comporta - da parte di tutto il sistema - una sottovalutazione dei fenomeni di violenza di genere e domestica, che non viene "letta" correttamente.  Per queste ragioni può affermarsi che vi è ancora molto da fare perché si possa ritenere che il nostro "sistema Paese" sia davvero democratico in quanto garantisce alle donne di essere libere da ogni forma di violenza”.  E ancora: “Nel 95% dei tribunali non vengono quantificati casi di violenza domestica emersi nei casi di separazione giudiziale, come pure non sono quantificate le cause in cui il giudice dispone una consulenza tecnica di ufficio nella materia. Il 95% dei tribunali non è in grado di indicare in quante cause il giudice abbia disposto una consulenza tecnica d’ufficio”.

Queste sono gravi responsabilità dei giudici, non basta parlare solo di mancanza di formazione per magistrati e psicologi. Si tratta di disapplicazione di una legge e come tutti sanno ‘la legge non ammette ignoranza’ e quindi neanche per i giudici ed i professionisti del settore forense si dovrebbe parlare solo di mancata formazione sul tema della violenza contro le donne. In un paese che si rispetti i magistrati e tutti gli altri professionisti impegnati nelle cause civili sull’affido dei minori che disattendono gli articoli della Convenzione di Istanbul dovrebbero essere: a. denunciati all’autorità giudiziaria b. deferiti ai rispettivi ordini professionali e di controllo c. sospesi  sine die dalle loro attività.

Approfondendo il tema della disapplicazione della Convenzione di Istanbul ci imbattiamo in un altro tema collegato, con ulteriori responsabilità civili e penali da parte di magistrati e professionisti dei vari ordini.

I casi delle ultime settimane parlano di prelievi coattivi di minori e di utilizzo di articoli di legge inesistenti per quanto riguarda l’ allontanamento dei bambini dalla loro casa. Non esistono infatti leggi ad hoc che prevedano l’esecuzione di tali provvedimenti. Il giudice può decretare un allontanamento di un minore, ma non vi sono regole che ne disciplinino l’esecuzione. La materia dell’esecuzione giudiziaria riguarda infatti essenzialmente beni immobili. Esistono invece prassi e consuetudini desunte dai decreti stessi e da protocolli vari (non da leggi quindi); queste indicano che l’esecuzione dell’allontanamento spetta ai servizi sociali. Leggiamo infatti in un decreto del tribunale per i minori: “l'esecuzione del provvedimenti del TM è demandata istituzionalmente al competente S.S.”; in un altro decreto leggiamo: “dispone… che  il minore venga collocato presso adeguata Casa Famiglia, a cura del Servizio sociale competente, con l'ausilio di neuropsichiatra competente e con l'ausilio di personale specializzato, in servizio presso Ufficio Minori. Viene posto il divieto di prelevamento del minore da parte di chiunque”.

Le attività di collocamento e non di prelevamento, mai menzionate e anzi vietate, sono prerogative dei servizi sociali. Il come non è dato sapere, se non implicitamente rinviato alla  presenza delle forze dell'ordine, che se prelevano forzosamente un minore si assumono la responsabilità di un atto di violenza e sequestro di un libero cittadino, per altro minore, non supportate  da nessuna ordinanza o decreto.

I decreti parlano solo di accompagnamento del minore altrove rispetto al suo domicilio (ledendo anche il suo diritto al rispetto del domicilio e della sua vita familiare, art. 8 CEDU) a carico dei servizi; e tutt'al più di rimozione di ostacoli mobili ed immobili da parte delle FFOO senza mai dare indicazioni precise sul fatto che si possa prelevare il minore in modo coattivo contro la sua volontà. In sostanza il prelevamento coattivo non è oggetto di decreti o ordinanze, è un’azione potremmo dire sotto traccia, borderline sul piano legale, tollerata e anzi supportata e agevolata dallo Stato. Le FFOO infatti precisano nelle loro relazioni, a esecuzione avvenuta, che intervengono in appoggio ai SS e non in autonomia.

Che vuol dire questo? è la conferma che non hanno potere autonomo coercitivo in materia di minori.

In definitiva: quando nei decreti si presenta come indicazione il ricorso da parte dei servizi alle FFOO ciò  sta ad indicare il passaggio da un piano di ’normale intervento’ ad un piano di ‘intervento eccezionale’ che comporta anche per gli operatori il ‘non avere regole certe di ingaggio’. Non è mai detto che cosa le FFOO debbano fare, quali sono i loro limiti, se non il fatto di indossare abiti civili e non uniformi.

Si tratta di interventi che non hanno regole perché in essi non si ravvisa l’emergenza (disciplinata dall’art. 403 cc.), perché il minore è ben curato dalla madre e vuole stare con la madre e la madre ha un curriculum personale e lavorativo di tutto rispetto per cui non è fonte di rischio per il minore. Allora si deve creare surrettiziamente la situazione di pericolo. E' chiaro che mai un provvedimento civilistico ha comportato un intervento dell’anticrimine con sfondamento di porte e violenza perpetrata sulle persone presenti, né tanto meno l’alzare di peso un minore che si dibatte ed urla ed è in chiara condizione di trauma e stress.

Come può essere possibile che ciò accada senza che le madri siano pericolose criminali pluricondannate?  

Solo in alcuni casi le madri sono denunciate per un reato, sottrazione di minore o elusione dei provvedimenti del tribunale, reati per i quali non c’è ancora un procedimento penale e un giudicato in III grado che consenta di parlare di esecuzione. Inoltre il  dispiegamento di forze, che abbiamo visto in questi casi  in azione, è plausibile solo se bisogna arrestare  pericolosi criminali e latitanti.

Un esempio di come si costruisce una situazione fittizia di pericolo è evidente nel caso della madre di Roma e del bambino di 7 anni ammalato di epilessia ‘prelevato’ a fine luglio. La madre ha cresciuto ed allevato questo bambino e provveduto nella malattia ad accertamenti e cure -tutto documentato-. E’ una madre adeguata, definita così anche dai tribunali, ma il padre reclama il figlio con una serie di atti  proposti nel corso del tempo presso vari tribunali. Finché un tribunale dopo vari ricorsi gli dà ragione e dispone l’allontanamento dalla madre per il ricongiungimento con il padre; un padre con cui il minore non ha mai vissuto e da cui la madre è fuggita anni ed anni prima per le sue condotte violente. Il tribunale decreta quindi che i servizi accompagnino il minore in casa famiglia per fare questo percorso di distanziamento madre/avvicinamento padre (un percorso pseudo-sanitario, che chiama in causa il trattamento PAS, e merita un discorso a parte). Questo tentativo fallisce e i servizi sono ‘comandati’ perché collaborino con le FFOO. In aggiunta il tribunale dispone che le FFOO provvedano al ‘rintraccio del minore’ sul territorio nazionale, perché la madre non ha risposto ai servizi andati a bussare presso il suo domicilio, coinvolgendo l’anticrimine, supponendo quindi che vi sia un rischio (imprecisato) per il minore. In più il tutore espone alla procura denuncia- querela per sottrazione del minore da parte della madre (ma di quale sottrazione si parla e a chi è stato sottratto il minore, visto che ha sempre vissuto con la madre?).

Si fa avanti così una procura della Repubblica nell’ambito del cui territorio viene rintracciata la famiglia del minore con moderni GPS, e quella procura emette un provvedimento che ha come obiettivo andare a verificare la presenza del minore nell’appartamento individuato. A questo scopo la Procura dispone la perquisizione dell’immobile rintracciato con conseguente sequestro di materiali e oggetti rilevanti a fini probatori (art. 252 cpp). La morale di tutto ciò è  che un bambino, non essendoci alcuna legge che indichi le modalità del suo prelievo, viene sequestrato come materiale probatorio, cosificato in un provvedimento di perquisizione, equiparato cioè a un oggetto di un presunto reato con valore probatorio, perché non si poteva certo procedere ad un sequestro di un vivente, libero cittadino. Tant’è che nel provvedimento che ‘fa finta di non riferirsi al prelievo di un minore’ ma solo a perquisizione e a sequestro di oggetti, è scritto di utilizzare modalità che non “arrechino  danno alla proprietà immobiliare”.

Ecco la becera furbizia di chi abusa del suo potere e vuole aggirare diritto e Costituzione.

Tutto questo si può fare? Prima di tutto: è legale, come dice il decreto succitato, che il tribunale istituzionalmente imponga ai servizi sociali l’esecuzione dei suoi decreti? A nostro parere NO.

I servizi sociali hanno una loro autonomia professionale, dipendono amministrativamente da altra istituzione, i Comuni,  e possono non conformarsi, nella logica della tutela del minore, a disposizioni del tribunale che da un lato non possono valere come ordini per loro, e dall'altro possono essere valutati lesivi per l’integrità psicofisica del minore. Lo stesso vale a maggior ragione per i servizi sanitari, anch’essi chiamati a normalizzare la ‘scena di un crimine’ nel tentativo di dare un abito di legalità ed umanità a un’azione traumatica.

Gli unici in posizione di subordine sono polizia e carabinieri. Ma a loro non viene dato ordine diretto, si parla di supporto ai servizi, foglia di fico un provvedimento coercitivo contro un minore che potrebbe avere base legale solo in rapporto all’art. 403 cc. riferibile a una situazione di emergenza. Emergenza che con tutta evidenza per questi minori ben accuditi e curati dalle loro legittime madri non esiste.

Che cosa si può fare, quindi?

I servizi assumano con dignità il loro ruolo e gli assistenti sociali, così come gli operatori dei servizi sanitari obiettino (oggi si obietta per qualsiasi cosa, anche di parva materia) che non è nella loro missione e nel loro codice deontologico arrecare traumi a un minore che non stia correndo un vero rischio per la sua integrità psicofisica. E rinviino alla loro catena gerarchica la decisione: il direttore ASL e il sindaco del comune di appartenenza. Sono loro a doversi assumere in prima persona questa responsabilità, decidendo anche di infrangere la legge e la Costituzione. Non è possibile infatti che il prelievo coattivo di un bambino si trasformi in una indegna caccia all’uomo, sguinzagliando come cani da preda servizi sociali e sanitari, polizia, curatore tutore, carabinieri, unitamente, in alcuni casi, all'investigatore privato del padre.

Qualcuno di questi soggetti nelle loro dirigenze, tutte titolate a fermarsi, si rifiuti di procedere e indichi questa caccia a un bambino come indegna di un paese democratico. Assistenti sociali, medici e psicologi abbiano un sussulto di dignità professionale e scendano da questo carrozzone segnalando che non si può, in base al loro vincolo professionale, partecipare a un intervento i cui costi traumatici per il bambino superano i benefici attesi.

Cosa dire poi del potere giudiziario? Si chiede da più parti e da tempo un invio di ispettori del ministero della giustizia in quei tribunali che non rispettano le leggi dello stato e le convenzioni internazionali e che inventano prassi coercitive al di fuori di norme, regole e diritti costituzionali. E’ il momento che qualcuno intervenga, a livello di governo e/o di parlamento e si  assuma qui e ora la responsabilità di tutto ciò, mettendo fine a questa indegna giostra psico-socio-giudiziaria.

Elvira Reale

Lettera Aperta delle Associazioni alla  Ministra Marta  Cartabia

Su iniziativa della presidente della Commissione femminicidio, Valeria Valente e  dei suoi componenti con l’appoggio di Pd, M5S, Italia Viva, LeU, Forza Italia, Alternativa c’è, sono state presentate importanti modifiche agli emendamenti del governo sul "Procedimento civile  in materia di persone, minorenni e famiglie “ .

Tali emendamenti (nello specifico: il  subemendamento 15.0.8/2 che interviene sull’emendamento governativo 15.0.8) danno valore nel processo civile ai principi fondativi della Convenzione di Istanbul a tutela delle donne vittime di violenza anche in considerazione del fatto che, oggi, quando queste si lasciano alle spalle la relazione violenta e si separano, sono esposte, nei Tribunali Italiani, per quanto riguarda l’affido dei figli minori, al  rischio di vittimizzazione secondaria/istituzionale.

Noi firmatarie sosteniamo attivamente l’iniziativa della Commissione Femminicidio e della sua Presidente, diamo il pieno sostegno all’iniziativa ribadendo la necessità che alcuni principi irrinunciabili siano inseriti nella riforma: 

  • il diritto del minore alla bigenitorialità non può essere considerato prevalente rispetto al suo superiore interesse, costituzionalmente protetto, alla salute, alla sicurezza e (nei limiti dell’età) alla libertà di autodeterminazione; 
  • la necessità dell’utilizzo dei poteri istruttori del giudice nella valutazione della presenza di violenza domestica con la conseguente  limitazione/esclusione delle consulenze tecniche sul miglior affido; nonché  la necessità di escludere ogni  prassi di mediazione nel rispetto dell’art. 48 della convenzione di Istanbul; 
  • il potenziamento dell’ascolto diretto del minore da parte del giudice in tutte le situazioni che lo riguardano come prescrive la legge;
  • l’esclusione dai procedimenti civili di costrutti ascientifici e non validati come la PAS ed altri costrutti psicologici, del tutto secondari  rispetto al tema della violenza;
  • l’affido del minore alla madre vittima di violenza (art. 31 CdI) in via preliminare e provvisoria là dove emergano indici di violenza da accertare (praesumptio iuris tantum);
  • l’esclusione di prassi traumatiche per i minori, come i prelevamenti coattivi dal loro abituale ambiente di vita e dalla relazione con la madre, senza che sia stato individuato un rischio reale ed imminente per la loro salute e la loro vita.

Ricordiamo  a questo proposito che solo un’urgenza reale (abbandono  con  protratta e documentata incuria, inoltre non relativa a condizioni di povertà ed indigenza) può dare come esito un allontanamento del minore dal proprio contesto di vita e familiare e chiediamo, quindi, che siano escluse, dalle prassi giudiziarie, presunte motivazioni di rischio per il minore riferite alla c.d. ‘elevata conflittualità di coppia’, espressione che in maniera errata e confondente identifica situazioni di violenza domestica contro le donne e i minori .

Sottolineiamo infine la pericolosità di alcune prassi che dovrebbero essere contrastate e/o riviste:

  • l’esecuzione dei provvedimenti del giudice della famiglia e dei minori, demandata ai servizi sociali, di fatto obbligati al rispetto dell’ordine del giudice - ed a rischio di denuncia per omissione di atti di Ufficio in caso di comportamento difforme – con compromissione delle condizioni di libertà ed autonomia professionale nell’esercizio del proprio ruolo e mandato;
  • il ricorso abnorme, in riferimento agli ultimi eventi di prelievo di minori dal domicilio materno,  a istituti processuali come la perquisizione per munire le forze dell’ordine di poteri più ampi e non consentiti nell’esecuzione di provvedimenti dell’a.g. civile e minorile.

Le nostre richieste acquisiscono oggi un valore particolare perché ci ricordano che  le donne, come dimostrano gli ultimi eventi drammatici dell’Afghanistan, sono i soggetti più vessati ed a rischio nel mondo, non solo nei regimi autoritari, ma anche, con le dovute differenze, nei paesi occidentali tra cui il nostro.

Associazione Salute donna aps,

Associazione Differenza Donna,

Associazione Donne insieme,

Associazione dream team – donne in rete,

Associazione ‘Io sono mia’ Bitonto (BA),

Ass. Family Smile e Dipartimento Pari Opportunità Ali —autonomie locali italiane,

Associazione Battiti di Vetralla,

Associazione GMA Napoli,

Associazione Il Giardino Segreto,

Associazione Casa Delle Donne Lucha y Siesta

Alzaia onlus – centro antiviolenza “Sostegno Donna” Taranto,

Arcidonna onlus Napoli,

APS Giraffa onlus Bari,

Befree cooperativa sociale contro tratta violenza e discriminazione,

Casa Internazionale delle Donne di Roma,

Centro antiviolenza Liberamente – Altamura,

Centro anti-violenza Pandora Molfetta,

Centro anti-violenza la luna Latiano (Br),

Centro Anti-violenza Filo di Arianna di San Severo e Save di Trani,

Cooperativa E.V.A,

Forum Donne PD Napoli,

Giuristeingenere,

Impegno Donna – Foggia,

Osservatorio “Giulia e Rossella” Centro antiviolenza ONLUS Barletta,

Protocollo Napoli,

Riscoprirsi centro antiviolenza- Andria,

Rete D.i.Re,

Sud est Donne aps – Conversano (Ba),

UDI Napoli,

UDI Pescara.

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