Nella notte tra il 26 ed il 27 luglio, appena dopo il giorno di Sant'Anna protettrice delle madri e delle gravide, a VIterbo un altro bambino è stato preso da sua madre e portato con la forza in casa famiglia. Lui ha 7 anni ed è un bambino speciale -soffre di una grave malattia neurologica- e sua madre se ne è presa cura. Ma le madri protettive sono giudicate simbiotiche, "accusate" della sindrome da alienazione parentale, strumento misogino e ascientifico per eseguire gli allontanamenti disposti per tutelare il diritto alla bigenitorialità dei padri.
Si è fatta una gran fatica a convincere le donne che dal 2006 una legge sciagurata stava creando danni irreversibili ai bambini. La legge 54, in particolare al primo comma del primo articolo riguardante la bigenitorialità e l'affido condiviso, è stata la causa della reintroduzione e legittimazione del principio potestativo del padre.
Nata da un malinteso innesto ideologico paritario in un quadro di grandi disuguaglianze uomo-donna, la legge è stata voluta soprattutto dai padri separati che miravano al mantenimento diretto dei figli. Il successivo progetto Pillon non era che il rafforzamento della legge 54 per ottenere in ogni caso l'esautorazione della madre dalla crescita e dalla gestione anche economica dei bambini.
La legge 54 ha introdotto il principio astratto della parità dell'affido ignorando le relazioni naturali dei bambini. La bigenitorialità è stata perseguita anche contro la loro volontà e messa in atto attraverso l’uso della forza pubblica persino nei casi in cui la madre ha denunciato violenza familiare.
È un fenomeno che si è diffuso in tutta Europa. Le madri sono forzatamente messe dai padri in un percorso giudiziario con l'accusa di ostacolare la “bigenitorialità”. Subiscono la valutazione della loro capacità genitoriale, sono sottoposte alla osservazione di educatori, sono indagate dagli psicologi in merito alla loro adeguatezza. La loro responsabilità ed il timore per la sicurezza dei figli vengono medicalizzati e criminalizzati. Ma le madri continuano a resistere perché sanno che si può spartire la responsabilità genitoriale, ma non le relazioni.
Le figure della madre e e del padre non sono equivalenti.
Conosciamo la comunità di professionisti che hanno avvelenato i pozzi con l'invenzione della madre malevola. Hanno costruito un potere professionale al servizio della decostruzione del materno, sono stati il braccio armato della legge al punto che alcune professioniste hanno dovuto avanzare conflitti con la comunità scientifica attraverso protocolli garantisti per le donne ed i bambini. Ma sono solo cure palliative.
I vincoli imposti dalla legge 54 sono ineludibili. La legge 54 non ci dice quali sono gli elementi che identificano la genitorialità in contesti segnati dalle differenze; non prevede l'ascolto del minore, rende oggetti i bambini, campo di esercizi potestativi senza considerazione dei loro bisogni di crescita, di continuità dei legami e dei contesti di vita, senza attribuire alcun valore alla specificità del legame materno. Non dispone eccezioni per i contesti segnati dalla violenza. La legge ha presidiato l'idea che un "comunque padre", con tanto di processo penale in corso per maltrattamenti, avesse diritto alla sua quota di proprietà dei figli. E così la spirale avvolge i nuclei fragili fino a distruggerli.
Accanto ai costi umani ci sono quelli economici della difesa: consulenze, avvocati, ricorsi, viaggi, contrasto dell'impoverimento perché se non hai reddito non sei adeguata per crescere un figlio. Ascoltare le madri vittime è una discesa in un girone dell'inferno. La dimensione tragica spazza via tutti i distinguo sulle cornici normative europee o le astratte legittimazioni paritarie.
Come criminali latitanti, come animali braccati, madri e figli sono trascinati e separati. Le porte divelte, i bambini afferrati tra le urla, uomini costretti a imporre con la forza una legittimità inumana.
Le donne non si arrenderanno fino a che la politica non avvierà un processo di revisione della legge 54. Lo abbiamo appena chiesto ai Prefetti e lo chiediamo a tutte quelle che inorridiscono nel vedere bambini prelevati persino in ospedale.
Ci sono donne che non vedono i figli da 10 anni, che ne hanno 4 in case famiglia o in affidi temporanei, donne che resistono da otto anni, donne che sanno che il figlio è affidato a un violento. Chiedono ispettori nei tribunali, la revisione della legge, l'intervento degli ordini professionali.
La lotta delle madri è l'imprevisto tragico che ci ha aperto gli occhi sulle attuali forme di segregazione e discriminazione femminile. Un filo rosso collega l'attacco identitario al corpo sessuato, la propaganda dell'utero in affitto, la prostituzione, la precarietà professionale, la fine del sistema assistenziale. Le giovani madri sono le figlie di un tentativo di riscatto fondato su una partita paritaria truccata: hanno dovuto rinunciare materialmente e simbolicamente al corpo generativo. Se riaprissimo questa partita, saremmo un bel pezzo avanti per i bambini e anche per la domanda di coesione saltata con la pandemia.
I prelievi devono cessare ed i bambini tornare a casa.
Nessuna commissione: i tempi rarefatti della politica non saranno mai compatibili con lo strazio attuale inflitto ai bambini.
Maria Esposito Siotto