Da giorni sui social i sostenitori dell'utero in affitto, in particolare molti attivisti Lgbtq+ e loro sostenitori, rilanciano la storia della schiava Agar e di suo figlio Ismaele (Genesi 16 e 21) per supportare la liceità e la bontà della propria causa. Il senso sarebbe: perfino Dio ammette che una donna faccia un figlio per altri. Dunque: niente di male nella nostra rivendicazione. Di fatto, anche noi abbiamo diritto ad avere schiave. Un cortocircuito logico, politico ed etico.
Non sanno quello che dicono. Non conoscono affatto questa storia di violenza, potere, sopraffazione. E non sanno nemmeno come va a finire.
Agar è una straniera, una schiava egiziana di proprietà di Sara, moglie di Abramo, ricordo del periodo trascorso con il marito nella terra dei Faraoni. E come tutti gli schiavi nel mondo antico (e moderno) non è nulla di più di un oggetto in mano di chi ne detiene la proprietà: nel suo caso una donna sterile, massima disgrazia nel mondo patriarcale. Sarà proprio la capacità di generare un figlio maschio al padrone di entrambe, Abramo, a creare una tensione fra le due donne che andrà avanti fintanto che Sara non riceverà la grazia da Dio dando alla luce, ormai anziana, Isacco.
Il codice di Hammurabi (XVIII sec. a. C.), quello duro e crudele della cosiddetta “legge del taglione”, prevedeva la possibilità per una donna sterile di “avere un figlio” dal legittimo consorte facendogli fecondare una schiava che avrebbe generato e partorito al posto suo il legittimo erede. La pratica prevedeva una singolare forma di parto dal valore altamente simbolico: la gestante dava alla luce il bambino appoggiata sulle gambe della padrona che così acquisiva i diritti di madre. Le somiglianze con la Gpa sono impressionanti, al netto delle moderne tecniche di procreazione che consentono di concepire senza contatti sessuali. Ora come allora questa madre deve sparire, oggi attraverso complesse pratiche che triplicano la sua figura -portatrice del fenotipo, gestante, madre sociale quando ce n'è una) e talora la quadruplicano ("donatrice" di mitocondri); allora con questa forma umiliante di parto che ribadiva i rapporti di forza fra padrona e schiava. Tutto molto brutale e in effetti molto simile al subappalto dell’onere, del rischio e del dolore di gravidanza e parto a donne povere da parte di alcune dive di Hollywood, lo stesso rapporto di forza fra una donna ricca e potente e una povera e debole.
Ma Agar è una donna fiera e al netto delle leggi di allora non ha la minima intenzione di farsi da parte. E' stata usata come animale da riproduzione e non appena si accorge di essere incinta sa di avere un potere sulla donna che ha usato il suo corpo per avere il figlio che non è in grado di avere. Nessuna glassa politicamente corretta, nessun sorriso di circostanza, nessuna finzione. Livore viscerale, invidia e disprezzo reciproco sono palesi, gli stessi sentimenti ancestrali che si agitano oggi dietro la finzione delle copertine patinate e i contratti capestro concepiti dai legali delle agenzie.
Sara diventa sempre più dura verso la sua schiava, che fugge nel deserto. Sarà l’angelo di Dio a rivolgersi a lei e a ricordarle i suoi doveri, da cui non può scappare, compensati dalla promessa della benevolenza divina su di lei e il bambino che partorirà e che chiamerà Ismaele, “Dio ascolta”.
Diversamente da quanto accade nel caso della moderna e “progressista” Gpa, Agar riceve giustizia e riconoscimento, e non dagli uomini e dalle donne del suo mondo ma direttamente da Dio, il Dio patriarcale e spietato dell’Antico Testamento. Agar dunque torna indietro, è costretta a farlo, il mondo non le permette altro, è incinta del suo legittimo proprietario, non avrebbe scampo: la Bibbia non racconta le umilianti ed alienanti modalità del parto, ma il bambino nasce e cresce, passano tredici anni in cui è il Figlio per eccellenza, l’erede designato del Pater Familias. Ma anche Sara piange e chiede a Dio un figlio, in quel mondo crudele il ruolo di una donna è legato alla sua capacità di procreare, e quella serva fiera e risoluta è lo specchio del suo fallimento: Dio le concede la “grazia” e così nasce Isacco: ed ecco che Sara può reclamare i propri “diritti” di padrona, Agar deve finalmente sparire, lei e quel bambino che non serve più devono morire.
Le analogie con il presente della GPA sono lampanti: la donna che presta il proprio servizio riproduttivo è il problema, e con le buone o le cattive deve sparire. Se restasse occuperebbe il ruolo centrale della madre, e questo scompaginerebbe i piani di chi l’ha vista solo come un forno, come una schiava. Come Agar. Anche Ismaele, amato e cresciuto come primogenito, viene scartato e mandato a morire nel deserto con sua madre quando non serve più, non devono più esistere quando non soddisfano le aspettative dei padroni. Oggi non ci sono deserti in cui morire di sete, ma i contratti prevedono ogni possibile eventualità: la donna che firma rinuncia a ogni controllo sul proprio corpo, i committenti possono decidere qualunque cosa per lei e la creatura che porta in grembo, le si può imporre di abortire, si decidono le modalità del parto -spesso un cesareo-, si impedisce di allattare perché questo rafforzerebbe l'attaccamento. E il bambino o la bambina che verrà alla luce, se non corrispondesse ai desideri di chi ha pagato, potrebbe essere legittimamente rifiutato, abbandonato in un mondo (il deserto) in cui non si sa più cosa sarà di lui.
Non è comprensibile che chi sostiene e promuove la liceità di una simile compravendita (schiavitù "autodeterminata" e a tempo, poi in teoria ognuno torna libero) voglia vedere un precedente nell'antica storia di Agar: perfino in quel mondo crudele la giustizia veniva ristabilita. Abbandonati nel deserto, prossimi alla morte e disperati, l’angelo di Dio ha pietà di loro e parla ad Agar rassicurandola che da Ismaele discenderà una grande nazione, le indica una fonte di acqua, permettendo la salvezza.
Perfino in quel mondo brutalmente patriarcale senza infingimenti, dove leggi umane ispirate da Dio piegano i destini degli ultimi ai desideri di chi domina, quel Dio Padre tanto incomprensibile ai nostri occhi non può non riconoscere la verità di quella madre e di quel figlio, quel legame inscindibile, quel vincolo che nessuna mano umana può sciogliere.
Dov’è Dio ora? Chi c’è al suo posto? Il pianto di Agar e di Ismaele chi lo ascolta? Questo nostro mondo così “corretto”, inclusivo e solidale è forse più brutale e cinico del mondo di Hammurabi e di Abramo.
Anna Perenna