Si è finalmente rotto anche in Italia il silenzio sui bloccanti della pubertà prescritti a bambine e bambini con comportamenti non conformi al genere. Si è rotto soprattutto grazie agli sforzi delle femministe radicali, dei gruppi di genitori e degli psicanalisti italiani che hanno scritto al governo (vedere qui).
Il dibattito è arrivato anche in TV, con due recenti puntate di Quarta Repubblica con interventi di esperti italiani e stranieri, dalle femministe Marina Terragni (qui, da 1'46'') e Monica Ricci Sargentini, all’oncologa Maura Massimino, che dirige la Divisione di Oncologia Pediatrica dell’Istituto Tumori di Milano (qui).
Tra i principali problemi delle diagnosi di “disforia di genere” c’è quello delle comorbidità, ovvero dei disturbi psicologici -molto frequentemente l’autismo- e dei traumi che nella gran parte dei casi accompagnano questo improvviso senso di "incongruenza" rispetto al proprio sesso. Il tutto aggravato dall’influenza dei social network, sui quali la trans industry lavora molto.
Lo psicologo statunitense Jon Haidt, che si occupa da anni dell’effetto dei social network sulla salute mentale di bambini e adolescenti, ha pubblicato i risultati della sua ricerca in documento intitolato «I disturbi dell'umore negli adolescenti dal 2010: Una revisione collaborativa» (testo integrale qui), con la collaborazione di Jean Twenge, docente di psicologia alla San Diego University, e di Zach Rausch, ricercatore.
Lo studio mette in luce come intorno al 2012 negli Stati Uniti e in Gran Bretagna si sia registrato un forte aumento dei disturbi mentali negli adolescenti, a cominciare da depressione, ansia e deficit di attenzione e iperattività (ADHD), ma anche di autolesionismo e tentati suicidi.
Più o meno nello stesso periodo si è notato anche un brusco aumento dei minori -soprattutto di bambine- che si rivolgevano alle cliniche per presunta “disforia di genere” (il fenomeno è stato notato anche in Olanda, vedere qui).
Gli studiosi hanno messo in rilievo anche le variazioni in base al sesso: le ragazze soffrono più dei ragazzi di disturbi interiorizzati come ansia e depressione e hanno più frequentemente comportamenti autolesionistici non fatali. I ragazzi invece tendono a esteriorizzare i disordini con comportamenti criminali, violenti, uso di droghe etc., e presentano un maggiore tasso di suicidi.
Si può dunque ipotizzare che l’aumento della disforia di genere nelle ragazze possa essere legato all’interiorizzazione del disagio verso il proprio corpo femminile che sta maturando, un disagio che viene enfatizzato oggi più che in passato dai social network che promuovono come modelli corpi iper-sessualizzati e innaturali, spesso modificati da chirurgia e filtri.
L’immaginario che sta dietro a questi modelli è senza dubbio quello della pornografia -disponibile anche a bambine e bambini, sempre e dovunque grazie a Internet- che mostra il corpo femminile inevitabilmente sottomesso al dominio maschile. Di fronte a questo destino apparentemente unico le ragazze cercano di fuggire come da una casa in fiamme, e gli stessi social offrono loro la "soluzione" della transizione (Marina Terragni ha spiegato le due facce della transizione FtoM e MtoF qui).
Nel documento si legge che anche i ragazzi americani di oggi hanno problemi diversi da quelli delle ragazze, che «sembrano essere legati al fatto di essere risucchiati dai loro schermi: videogiochi, porno, radicalizzazione online, con esiti terribili che sembrano più legati alla mancata crescita che a disturbi interiorizzati».
Dai dati emerge anche che sono gli adolescenti più giovani, quelli nella fascia d’età dai 10 ai 14 a soffrire maggiormente degli effetti dei social network: i tassi di autolesionismo e suicidio sono più alti proprio tra i più piccoli.
Allo stesso modo agli effetti dei social si può ricondurre anche l’aumento delle richieste di cure per la presunta "disforia di genere" che nella maggior parte dei casi si risolverebbe da sola una volta conclusa la pubertà, come ci dimostrano i dati e le testimonianze delle e dei detransitioner.
Questa generazione paga il prezzo dell’essere stata colpita prima, in una fase precoce del suo sviluppo, dai modelli insostenibili e dal marketing ingannevole e selvaggio dei social.
Il problema deve essere affrontato con soluzioni che conservino la salute e i corpi di bambine e bambini, che non devono essere consegnati a un futuro di medicalizzazione a vita.
Maria Celeste
Qui il testo di Jon Haidt