La scorsa estate imperversavano sui media articoli che celebravano gli “atleti transgender”: uomini che, dicendo di “identificarsi come donne”, avevano ottenuto dal CIO di gareggiare nella categoria femminile alle Olimpiadi.
C’era la storia di Petrillo, uomo nel corpo e pure all’anagrafe, che sperava di partecipare ai Giochi Paralimpici come “Valentina” e di creare un caso di Self ID in Italia (qui). E poi vi abbiamo raccontato dell’impresa performativa del genere di “Laurel” Hubbard alle Olimpiadi di Tokyo (qui).
Dopo le Olimpiadi il CIO ha rivisto le regole sullo sport transgender, ma in direzione opposta alle richieste delle donne, semplificando ancora di più i requisiti per gli atleti maschi che vogliono passare alla categoria femminile.
E i casi di uomini che invadono gli sport femminili si moltiplicano non solo in paesi ricchi e garanti dei diritti, ma anche in paesi dove per le donne l’opportunità di fare sport non è affatto scontata (qui un caso in un’università in India già nel 2018).
Ma l’indignazione non si ferma, soprattutto in America. Dove si parla del caso Thomas, che vi raccontiamo in questo articolo. E nel frattempo i Repubblicani -fiutando il consenso della maggioranza- presentano proposte di legge per salvaguardare la categoria femminile nello sport, l’ultima in ordine di tempo in South Dakota.
Maria Celeste
Abbassare il livello di testosterone non rende gli uomini uguali alle donne. Ovvio per tutti ma non per l'organizzazione sportiva universitaria statunitense NCAA che permette ai ragazzi che da un anno abbiano iniziato la riduzione del livello di testosterone e si autodichiarano donne a gareggiare con le ragazze. Gli studi scientifici ci dicono che nel nuoto il vantaggio è di circa l’11% e un livello ridotto di testosterone ha un effetto solo marginale.
Will Thomas dopo aver partecipato per tre anni alle gare con la squadra maschile di nuoto della Penn University senza emergere, dal novembre 2021 con il nome di Lia ha iniziato a vincere le tutte le gare di nuoto femminile a stile libero sulle distanze di 200, 500 e 1650 yard (circa 180, 450 e 1500 metri) e battere i record della categoria. Nelle 200 yard è passato dal 462° posto nazionale nella categoria maschile al primo posto nazionale in quella femminile. Le note positive sono arrivate dal pubblico in piscina che ha spontaneamente applaudito le vere vincitrici, in una occasione il distacco all’arrivo è stato di 38 secondi (!) da Lia Thomas, e dalle dimissioni della funzionaria della Federazione Nuoto USA Cynthia Millen (“nello sport i corpi sono in gara contro i corpi, non le identità contro le identità”), mentre sui media prevaleva la narrazione di vittoria dello sport transgender e della “inclusione”.
Sono intervenuti a difesa delle ragazze e dell’equità necessaria nelle gare decine di ex atleti e professionisti del mondo dello sport, tra cui la campionessa di tennis Martina Navratilova, la tre volte campionessa olimpica di nuoto Nancy Hogshead-Makar e Judy Murray, eccellente allenatrice e madre dei fratelli campioni di tennis Andy e Jamie.
Queste dichiarazioni sono importanti per due ragioni: rendere il dibattito pubblico e dar voce alle ragazze che non sono nelle condizioni di parlare, contrastate da organizzatori, allenatori e dall’università, che le ha indirizzate verso servizi di salute mentale. Della protesta interna filtra qualcosa grazie ad alcune atlete intervenute sotto anonimato e una lettera dei genitori di 10 nuotatrici che chiedono di non calpestare i diritti delle loro figlie.
Una delle analisi più complete è stata pubblicata dall’allenatrice canadese Linda Blade, che propone di includere gli atleti transgender creando due categorie: una aperta (uomini e trans, ovvero uomini che si identificano come donne e donne che si identificano come uomini) e una categoria solo femminile (XX).
Per seguire gli sviluppi si possono leggere i tweet con gli hashtag #PennCheats #SaveWomensSports e #NoThankYou con la speranza che il buonsenso prevalga e qualcosa cambi prima delle finali della Ivy League del 16-19 febbraio a Cambridge, Massachusetts.
Ma già si presenta un nuovo caso, Timothy LeDuc il primo “non binario” nel pattinaggio artistico e, se prosegue l’andazzo, dovremo aspettarci decine di articoli ogni volta con la storica prima partecipazione di uno dei 100 “generi” in una delle n discipline.
Marco Alciator