Gavin “Laurel” Hubbard, come da pronostico -non solo del CIO ma anche del Feminist Post- è stato eliminato alla finale olimpica di sollevamento pesi femminile +87 kg (pesi supermassimi), dopo un tentativo fallito di sollevare 120 kg e due tentativi falliti a 125 kg nello snatch.
La finale di sollevamento pesi femminile curiosamente non è stata trasmessa nella diretta ufficiale della Rai, pur essendo definita “di rilevanza storica” proprio per la presenza di Hubbard “primo atleta apertamente transgender a competere in un’Olimpiade in una categoria di genere diverso da quello in cui è nato”(vedere qui, BBC Sport).
Hubbard, nella uniforme All Black della Nuova Zelanda, è salito sulla pedana del Tokyo International Forum e con incertezza ha provato a sollevare i pesi rossi, che però ha subito lasciato cadere dietro di sé, e con un sorrisetto e un gesto vezzoso, come a dire: “Era troppo difficile, non ce l’ho fatta!”, ha salutato il pubblico ed è sceso dalla pedana con un inchino. Come se l'avesse fatto apposta.
Paradossalmente, la sconfitta di “Laurel” è più utile alla causa del transumanesimo di una sua eventuale vittoria. I trans-attivisti vogliono infatti usare la sconfitta di Hubbard per “dimostrare” che, se un trans non è riuscito a vincere contro le donne, allora sarebbe vero che il corpo maschile con gli ormoni diventerebbe pari a quello di una donna.
Da quando il CIO ha cambiato le sue linee guida nel 2015 per permettere agli uomini che dicono di “sentirsi donne” di competere alle Olimpiadi nelle categorie femminili – e di conseguenza influenzando le federazioni sportive nazionali e locali di tutto il mondo – la medicina dello sport ha dovuto sprecare tempo e risorse per dimostrare l’ovvio: ovvero che il corpo maschile ha sempre un grande vantaggio a livello sportivo su quello femminile.
Il CIO ha recentemente annunciato l’intenzione di rivedere le sua criticate linee guida sulla cosiddetta “inclusione trans” alle Olimpiadi, lasciandole decidere alle federazioni dei singoli sport (vedere qui).
Eppure bisognerebbe parlare non solo della “scienza” – che nonostante le manipolazioni non è in discussione – ma anche dei diritti. I diritti delle donne ad avere l’opportunità di partecipare alle competizioni sportive d’elite, con tutti i vantaggi che ciò comporta anche a livello di carriera e di reddito, e ad una competizione equa.
Hubbard, che anche dopo essersi ribattezzato “Laurel” ha mantenuto intatto il suo poderoso corpo maschile, seppure ormai 43enne, invecchiato e fuori forma per una carriera da atleta, avrebbe dovuto, se abbastanza forte, competere con altri uomini. La sua invasione della categoria femminile non è un “diritto” ma piuttosto un privilegio, e ha tolto l’opportunità di partecipare alle Olimpiadi a una donna, Roviel Detenamo dalla Repubblica di Nauru, una piccola isola del Pacifico che in passato ha già mandato alle Olimpiadi 8 atlete di sollevamento pesi (vedere qui).
La sconfitta di Hubbard non fa altro che erodere ulteriormente i diritti delle donne e lo sport femminile, illudendo il mondo che in fin dei conti “i trans non vincono”… aprendo la strada a una schiera potenziale di futuri trans nelle competizioni femminili, non solo di nicchia come il sollevamento pesi, ma in tutti gli altri sport.
Le altre 13 atlete donne della finale di sollevamento pesi hanno vinto, ma con l’inclusione di uomini, anche mediocri come Hubbard, tutte le donne hanno perso.
Save Women's Sports!
Maria Celeste