Si chiama compelled speech, e l’obiettivo è farci dire che loro, gli uomini, sono donne se si percepiscono tali.
E' la base dell’ideologia dell’identità di genere: sono donna se lo dico io. Chiamarli «donne» ma chiamare le donne «mestruatori»; nuovi nomi -carriera alias- e pronomi : il neolinguaggio serve a fermare l’opposizione e il libero pensiero sul nascere. Per questo sostengono che è un oltraggio che si dica che “loro” non siano donne a tutti gli effetti, e addirittura che sia «violenza». E spesso per questo “reato di parola”, i transattivisti fanno causa. Soprattutto se a dirlo e’ una donna.
Dunque si può dire “quello non è una donna, è un uomo” ? O meglio, la domanda è: una donna puo' dire che un uomo che si percepisce donna è un uomo?
Recentemente un tribunale di Camberra ha stabilito che si può, e che "non è necessariamente diffamazione".
La giornalista radiofonica Beth Rep (a sinistra nella foto) era stata accusata per dei post su Facebook in cui scriveva, appunto, che “le donne trans sono uomini”. La causa era stata intentata da Bridget Clinch (a destra), al secolo Matthew Clinch, ex-capitano dell’esercito australiano che si era sentito «vittimizzato» dai post Facebook in quanto, appunto, si percepisce come donna.
Nel 2020 la giornalista era stata condannata, ma la nuova sentenza ha stabilito che i suoi post non hanno determinato alcuna vittimizzazione, e che solo nove dei 46 post sotto accusa potevano essere considerati diffamazione. Il risarcimento che Beth Rep dovra’ pagare e’ stato dimezzato, e soprattutto le e’ stato tolto il bavaglio -la precedente sentenza ordinava infatti «che la signora Rep sia trattenuta dal fare post sui social media simili a quelli contestati».
Inoltre, in un momento in cui le femministe protestano contro l'accesso di uomini trans-identificati ai servizi e ai luoghi riservati alle donne, il tribunale d'appello ha ritenuto l’affermazione legittima. La sentenza dice esplicitamente : "Accettiamo che la discussione e il dibattito su questo tema siano nell'interesse pubblico".
Clinch, che sta tentando una carriera politica nei Verdi -il terzo partito in Australia-, ha detto che non ha intenzione di fare ricorso.
La frase trans women are men, abbreviata in TWAM, e` diventata un vero e proprio slogan del femminismo gender critical. Attorno a questa frase si sono coalizzate le donne che hanno subito abusi dai cosiddetti «transwomen» nei paesi in cui vige il regime di autocertificazione di genere (self-ID): dalle lesbiche costrette a rapporti sessuali da «donne con il pene» alle mamme che hanno trovato nei loro spazi «transwomen» con il fetish della gravidanza o dell’allattamento (vedere qui).
I transattivisti conoscono il potere delle parole: per questo tremano e si incattiviscono davanti ai tweet di JK Rowling, di Maya Forstater, ma anche di donne femministe come Kellie-Jay Keen, conosciuta come Posie Parker, o la scozzese Marion Millar. In ambito italiano, per le stesse parole sono state attaccate Alessandra Asteriti e Marina Terragni.
Ma, come molti hanno notato, il vento sta cambiando e la sentenza australiana ne è un ulteriore segnale.
Maria Celeste
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