La Corte d’Appello del Tribunale del Lavoro in Inghilterra ha emesso oggi 10 giugno la sentenza nel caso Forstater. La Corte ha stabilito che credere nell’immutabilità del sesso biologico è una forma di opinione protetta dall’articolo 9(1) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Che cosa era successo, e che cosa succederà adesso a Maya Forstater?
Facciamo un passo indietro. Nel 2019 Maya, una ricercatrice presso il Center for Global Development a Londra, espresse in una serie di tweet alcune critiche nei confronti dell’ideologia transgender, e specificamente l’idea che l’autoidentificazione sia sufficiente per il cambiamento legale di sesso, e che le donne trans sono donne, in tutto e per tutto. Per aver espresso critiche e perplessità, colleghi di lavoro nella sede statunitense del centro si lamentarono di una presunta transfobia. Il contratto di lavoro di Maya non fu rinnovato, come originariamente previsto e Maya aprì un contenzioso presso il tribunale del lavoro.
In una sentenza preliminare del dicembre 2019 tesa a determinare se le opinioni cosiddette ‘gender critical’ fossero protette dalla Convenzione Europea e dall’Equality Act britannico, il giudice James Tayler stabilì che tali opinioni fossero ‘incompatibili con la dignità umana e i diritti umani’ e tacciò di assolutismo tali opinioni. In sostanza, il giudice concluse che le opinioni gender critical devono essere escluse dalla protezione della legge al pari del nazismo, l’antisemitismo o il razzismo. Specificatemente, il giudice determinò che le opinioni di Forstater non soddisfacessero il criterio V del cosiddetto test Grainger, derivato dal caso Grainger al Tribunale del Lavoro. Il criterio V stabilisce che, per poter usufruire della protezione della legge, le opinioni devono essere degne di rispetto in una società democratica e rispettare la dignità umana ed i diritti degli altri.
Le ripercussioni della sentenza furono notevoli. JKR Rowling espresse il suo sostegno per Maya in un tweet, che scatenò una reazione negativa enorme.
In un clima generale in cui azzardare una critica all’ideologia di genere può risultare in minacce di morte o stupro, molte donne hanno espresso solidarietà per Maya sui social. La decisione di ricorrere in appello è diventata il simbolo della ribellione di molte donne a questa ideologia, e soprattutto all’ingiunzione di non discuterne alcun aspetto. Dal 2019, il numero di donne che hanno apertamente criticato questa ideologia è aumentato in modo consistente. La campagna #WomenWontWheesht (le donne non staranno zitte) iniziata da una femminista in Scozia ha avuto successo non solo al di fuori della Scozia, ma addirittura al di fuori della Gran Bretagna. Tanti sono stati anche gli ostacoli. La stessa Marion Millar, che ha iniziato la campagna, è stata denunciata per transfobia e omofobia e ora rischia una condanna fino a due anni.
E arriviamo così al giugno di quest’anno. Il caso in appello era teso esclusivamente a determinare se il tribunale del lavoro era incorso in un errore di diritto nello stabilire che le opinioni gender critical non erano protette. In un paragrafo che stabilisce con chiarezza esemplare in cosa consista l’errore, la Corte d’Appello ha dichiarato che
[…] le opinioni della Ricorrente non si avvicinano neppure lontanamente a opinioni alla stregua del Nazismo o del totalitarismo, che richiedono l’applicazione dell’articolo 17 [della Convenzione Europea, divieto dell’abuso di diritto]. Ciò è sufficiente a stabilire che il criterio V del caso Grainger è soddisfatto. Le opinioni della Ricorrente sono certamente in grado di suscitare offesa o di essere considerate abominevoli; tuttavia l’evidenza posta di fronte al Tribunale dimostra che la Ricorrente credeva sinceramente che “non vi è incompatibilità tra il riconoscere che gli esseri umani non sono in grado di cambiare sesso e il proteggere i diritti umani di coloro che si identificano come transgender […] Nella mia opinione, tale dichiarazione non equivale ad esprimere l’intenzione di distruggere i diritti degli individui transgender. È un’opinione che può, in determinate circostanze, offendere un individuo transgender, ma tale potenziale non costituisce un motivo valido per privare della protezione della legge tale opinione.
Ciò che la Corte ha stabilito in data 10 giugno è essenziale per garantire la protezione delle opinioni gender critical, in generale, nell’ambiente lavorativo. Quello che la Corte non ha stabilito, né doveva farlo, è la questione di merito, cioè se nell’esprimere le sua opinioni, Maya si sia resa responsabile di condotta in violazione dell’Equality Act per quanto concerne la discriminazione e l’abuso di individui transgender. Il caso ritorna quindi adesso al Tribunale del Lavoro per la determinazione del merito. Intanto però moltissime donne hanno tirato un sospiro di sollievo. Credere che il sesso sia un fatto oggettivo e che le donne abbiano diritti in base al sesso non vuol dire essere bigotte, o naziste.
Oggi festeggiamo questa vittoria per la giustizia e i diritti delle donne. Domani, ricomincia la lotta.
Alessandra Asteriti