La strategia dell’attivismo queer ordina sempre il silenzio.
Se i politici stanno discutendo una proposta di legge per introdurre l’auto-determinazione di genere è preferibile che i media non ne parlino, e se ne parlano dovranno dire che la legge è solamente “contro la discriminazione delle persole LGBT” e tacere sul resto. Ogni opinione minimamente dissonante viene messa a tacere con insulti, minacce (in gergo chilling effect) e oscuramento (no platform).
Tutto questo accade anche in Italia, si veda per esempio il silenzio totale quando il DDL Zan fu approvato alla Camera l’ottobre scorso.
Più recentemente, l’Agenzia Dire ha subito un attacco per aver pubblicato un breve articolo -vedere qui- in cui non si osannava Ellen/Elliot Page che mostra le cicatrici da mastectomia non necessaria. L’accusa è di presunta “transfobia” e addirittura di “violenza nei confronti delle persone trans”. Le critiche e anche le minacce ricevute hanno sortito l’effetto desiderato dagli attivisti dell’identità di genere: l’Agenzia Dire infatti ha chiesto scusa e ha promesso che darà ai suoi giornalisti delle ‘linee guida’ su come trattare il tema della transizione -vedere qui-.
Nell’articolo che segue vi raccontiamo il recente attacco subito da un canale americano per un servizio sui detransitioner, ragazze e ragazzi che da adolescenti sono stati avviati alla transizione medica e hanno poi preso la sofferta decisione di “ritornare” del loro sesso, ovvero di fare la “detransizione”.
Per ascoltare le esperienze delle detransitioner potete vedere il nostro webinar “Tornare donne, storie di de-transizione” -vedere qui- e leggere qui la testimonianza della nostra collaboratrice Valentina Beoni, finora l’unica detransitioner italiana ad aver parlato pubblicamente.
Perché gli attivisti dell’ideologia dell’identità di genere, che sostengono di volere una migliore assistenza sanitaria per le persone trans-identificate, lottano disperatamente per mettere a tacere le voci dei detransitioner?
Questa domanda proibita e senza risposta è recentemente tornata alla ribalta a causa di “60 Minutes”, storico programma di attualità del canale americano CBS News, che ha avuto la temerarietà di mandare in onda un approfondimento sui detransitioner (disponibile qui).
L'ideologia di genere è tema di primo piano negli Stati Uniti da quando l'amministrazione Biden ha reso prioritario lo smantellamento dei diritti delle donne basati sul sesso al servizio del diritto degli uomini di identificarsi come donne e usufruire di spazi, categorie e linguaggi femminili. L'opposizione – i repubblicani, che sono considerati di destra, anche se questo è un errore poiché entrambi i partiti sono neoliberali – ha iniziato il contrattacco legiferando contro la "transizione di genere" pediatrica medicalizzata, seguendo l'esempio di Regno Unito, Svezia e Finlandia, dove i tribunali e le istituzioni mediche sono arrivati a considerare questi interventi trattamenti sperimentali, senza alcuna prova solida di beneficio (vedere qui).
Considerando questa notizia degna di nota, Lesley Stahl, giornalista veterana e rispettata che lavora da 30 anni a “60 minutes”, ha presentato un pezzo su queste nuove leggi con interviste a clinici e attivisti, così come ad alcuni giovani detransitioner. Questo ha fatto infuriare i sostenitori dell’identità di genere. Quando a marzo è trapelata la notizia che questo servizio era in preparazione è iniziata una campagna di intimidazione da parte degli attivisti trans.
Gli attivisti dell’identità di genere sono ben organizzati, e Lesley Stahl ha dichiarato di non aver mai ricevuto così tante critiche su un pezzo prima ancora che andasse in onda.
Quando è andato in onda, il segmento di quasi 14 minuti si è rivelato molto sbilanciato a favore di chi fa propaganda all’identità di genere. Il servizio era incentrato sulla presunta "guerra culturale" che i legislatori repubblicani starebbero conducendo “contro le persone transgender”, ed è stato completato con la testimonianza di un operatore sanitario al servizio dell’industria della transizione, il quale ha assicurato a Stahl che l'assistenza sanitaria “trans-affermante” (che chiede l’accesso sempre più facile ai bloccanti della pubertà, ormoni, chirurgia) è la migliore e unica opzione “etica” per trattare la disforia di genere. Stahl ha fatto poco per mettere in discussione l’affermazione che le persone trans-identificate sarebbero vittime emarginate e starebbero “soffrendo un’epidemia di violenza”. Per inciso, due degli operatori sanitari intervistati erano uomini trans-identificati (trans MtF) - una scelta ironica considerando tutto il discorso sulla comunità trans che sarebbe “fortemente discriminata” anche in ambito lavorativo.
In ogni caso Stahl ha parlato anche con tre giovani che sono stati avviati frettolosamente all’assunzione di ormoni e a interventi chirurgici e poi hanno fatto la “detransizione”.
Ma non importa quanto spazio il servizio abbia dedicato a coloro che hanno fatto la transizione in età avanzata, e che probabilmente hanno alle spalle anni di normale funzione sessuale da adulti, che sostengono a parole la presunta “legittimità” di trattamenti sperimentali sui giovani. Basta che anche un solo giovane, che sembra appena uscito dalla sua adolescenza, parli di come rimpiange la sua castrazione, per fare capire alla gente la dura realtà dietro ai glitter e ai colori pastello dell’attivismo trans.
Lesley Stahl ha dichiarato di aver intervistato 30 detransitioner; 5 sono apparsi nel servizio e solo a 3 è stato dato spazio per parlare. Dopo la messa in onda del programma televisivo, i detransitioner presenti sono intervenuti sui social media per dire che si sentivano delusi. Non era stato concesso loro abbastanza spazio. Il loro punto di vista non è stato chiarito. Questo è deplorevole poiché questi giovani rappresentano forse le voci più importanti nella discussione sul genere e sull’identità di genere, e sono straordinariamente compassionevoli e riflessivi. Dicono di avere empatia per le persone trans-identificate e vogliono anche una migliore assistenza sanitaria. Dicono di volere il meglio per gli altri che si identificano come trans. Ma dicono anche che la loro medicalizzazione è stata troppo veloce, che hanno avuto altri problemi di salute che sono stati ignorati, che rimpiangono i cambiamenti irreversibili che sono stati fatti ai loro corpi e che non hanno potuto ottenere alcuna “assistenza sanitaria trans” per la loro “detransizione”.
Dicono di essere state (e stati) messe a tacere, insultate e minacciate dalla stessa comunità che una volta le lodava. Gli apostati sono sempre odiati dai veri credenti e da chi li controlla.
La loro esistenza e la sfida all’ideologia trans minacciano le organizzazioni LGBTQ+, gonfiate e generosamente finanziate (vedere qui) che una volta facevano un buon lavoro a sostegno degli omosessuali, come GLAAD, ma che ora fanno soldi promuovendo l'industria della transizione. Gruppi che una volta difendevano la libertà di parola di veri e propri nazisti, come l'ACLU (vedere qui), ora demonizzano persone realmente emarginate.
L'identità di genere è una fantasia, e davanti alla dura realtà dei detransitioner, nessuno potrà fingere di crederci.
Tania Alessandrini, introduzione e traduzione di Maria Celeste
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