"Vi è un'ostinazione in me che non tollera di lasciarsi intimidire dalla volontà altrui.
Il mio coraggio insorge a ogni tentativo di farmi paura".
Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio, 1813
Un terremoto sta scuotendo le università anglosassoni. A provocarlo professoresse gender critical che denunciano, rischiando la carriera, la perdita di libertà accademica e il clima intimidatorio nel discutere sesso, genere e identità di genere.
«Il movimento dell’identità di genere sta cancellando la libertà di parola delle persone e la libertà accademica di chiunque non sia in linea, si opponga apertamente o si appelli al diritto a dibattere». A sostenerlo è Donna Hughes, docente di Gender Studies all’Università di Rhode Island, Stati Uniti, che ha scritto un saggio incendiario per il sito femminista 4W, Fourth Wave.
Nel saggio Hughes va giù pesante. Scrive: “Credere che si possa cambiare il genere è una fantasia transessuale” e che “ i giovani sono guidati verso orrori ormonali e chirurgici che rimuovono il sesso". Non solo. Hughes denuncia il fatto che molte persone hanno iniziato a pagare il misgendering - l’attribuzione sbagliata del genere - con la perdita del proprio social account o addirittura con il proprio posto di lavoro. Quindi si spinge a paragonare le persone la cui identità di genere è diversa dal sesso registrato alla nascita ai seguaci di Qanon e critica la sinistra che si è tuffata di testa in un mondo di bugie. Boom!
I suoi commenti sono stati immediatamente stigmatizzati dalla direttrice del Gender and Sexuality Center dell’Università, Annie Russel, che li ha definiti “inaccettabili". L'Università ha preso le distanze con un comunicato dichiarando di non supportare dichiarazioni che espongono punti di vista antitransgender. È seguita una campagna online di denigrazione.
Hughes non è l’unica a trovarsi in disaccordo con l’ortodossia della propria istituzione. Nel Regno Unito Kathleen Stock, docente di Filosofia all’University of Sussex, insignita di recente con un OBE per la sua campagna per la libertà accademica - e in particolare quella di esaminare le richieste di gruppi di pressione come Stonewall - ha ricevuto a gennaio una lettera aperta firmata da 600 persone “sgomente" per la sua onorificenza. Motivo? La sua retorica nefasta. La email accusa Stock di allarmismo transfobico, di voler limitare l’accesso delle persone a trattamenti medici salvavita e di incoraggiare le molestie di persone di genere non conforme. «È stato incredibilmente stressante vedere bugie spudorate presentate come fatti. Ma la lettera dimostra anche in che casino mostruoso siamo finiti quando parliamo di sesso e genere», ribatte Stock. E continua: «Aborro la discriminazione contro il mondo trans ma credo anche nella libertà di esaminare le conseguenze dei cambiamenti, inclusi i costi per le donne, i diritti dei gay e la salute dei bambini che vogliono cambiare genere. Come lesbica con figli teenager questi argomenti mi sono molto vicini. E lo sono ancora di più come accademica e filosofa il cui compito è investigare la verità. Dobbiamo essere liberi di discutere queste cose in pubblico. Eppure quando ci ho provato ho ricevuto lamentele, inchieste disciplinari, proteste da parte degli studenti, e costante diffamazione da parte dei colleghi».
Stock è stata isolata. «Ho smesso di partecipare a conferenze di filosofia perché non riesco più a sopportare l’ostracismo e le occhiatacce. Cammino nel mio dipartimento all’Università del Sussex con un senso di terrore. Due anni fa il security manager del campus mi scioccò mostrandomi il sistema telefonico di emergenza e mi fece istallare uno spioncino sulla porta. In seguito, quando a una seduta si laurea venni raggiunta dalla security che mi mostrò la strada più veloce per abbandonare il palco durante un’emergenza, non ero più scioccata - l’esperienza era diventata normale».
Rimossa da Twitter, Stock ha rilasciato un’intervista molto discussa a Charlie Hebdo dove ha accusato il femminismo liberal delle studentesse universitarie della classe media di essersi arreso al movimento trans militante allontanandosi dalla working class.
Per chi lavora all’Università il messaggio è chiaro: o ti conformi alla narrazione dominante o fai una brutta fine. Non è un caso che altre accademiche come Selina Todd, storica di Oxford, abbia un servizio di sicurezza per le sue conferenze e Alice Sullivan, professoressa di sociologia all’University College London sia stata rimossa - no platforming - da un evento sulle linee guida per la raccolta dati del censimento. Si tratta di una nuova caccia alle streghe? Il silenzio è violenza.
Per ribellarsi a questa cultura è nato GCAcademia Network un sito dove docenti e studenti gender critical denunciano sotto anonimato il clima intimidatorio, il bullismo, le minacce e sostanzialmente la morte del dibattito accademico. Testimonianze agghiaccianti che misurano ancora una volta il clima soffocante e la perdita di libertà nelle università. Una docente: «Ci spingono a dichiarare e usare pronomi e a confessare se siamo cis o trans. Insegnare Women e Gender Studies è diventato un incubo di cui nessuno vuole più parlare. Ovunque domina la Queer Theory». Uno studente che studia Letteratura Inglese: «Di recente mi hanno corretto una tesina dove hanno sostituito tutte le volte che ho scritto “ femmina" o “ sesso" con “ genere" e "identità di genere". Alcune frasi non hanno più nemmeno senso. Pensavo che il punto di fare l'università era supportare la libertà di espressione e promuovere discussione e dibattito. Ho voglia di lasciare».
Un'altra studentessa dall’Università di Edimburgo: «Ci viene richiesto di usare la terminologia approvata da Stonewall e di parlare di sesso assegnato alla nascita e del vero genere delle persone». Nemmeno i gruppi femministi universitari sono al riparo. «Sono una studentessa di Belle Arti in una Università del Regno Unito. Ho aderito alla Feminist Society pensando di trovare uno spazio dove dibattere liberamente di femminismo. La prima sessione su Zoom è stata aperta da un uomo che usava i pronomi She/Her. Parlava al posto delle donne come se fosse una donna sebbene ovviamente non avesse mai sperimentato il sessismo sulla sua pelle perché era chiaramente un uomo con i pronomi femminili. Ero scioccata ma se fossi intervenuta sarei stata tacciata di transfobia e terfismo».
Nina Wess 30 marzo 2021
anche la rivista Micromega ospita un testo su questi temi
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