"La moda non è qualcosa che esiste solo negli abiti. La moda è nel cielo, nella strada, la moda ha a che fare con le idee, il nostro modo di vivere, quello che sta accadendo". Lo diceva Coco Chanel (ricorre proprio in questi giorni il cinquantenario della scomparsa) aggiungendo che per trattarsi davvero di moda deve uscire dagli atelier per raggiungere le piazze, altrimenti non lo è. Ma che succede ora che in tutto il mondo l’emergenza Covid-19 ha cambiato radicalmente le nostre abitudini, il nostro lavoro, le nostre vite? Il tempo trascorso a casa -spesso sedute davanti a uno schermo- ci chiede un nuovo approccio con il gesto quotidiano del vestirci e ci “obbliga” a modificarlo.
La crisi ha messo in ginocchio le industrie legate al fashion costringendole a uno stop involontario e pesante con una conseguente ripercussione a cascata su tutta la filiera -talvolta fortunatamente la riconversione e la generosità di molti stilisti hanno comunque dato il via a circoli virtuosi di ampio respiro, nonostante il confinamento e il tonfo del settore-. Questo fuori di casa. Dentro, nelle piazze virtuali grandi non più di uno schermo a cui abbiamo dovuto abituarci, c'è il rischio di mettere da parte ogni velleità estetica.
Vuote le strade, chiusi i negozi di riferimento che ci fornivano all’occorrenza il “necessario” per sentirci bene e adeguate all’occasione (quasi sempre la molla all’acquisto di un capo nuovo è proprio una circostanza inattesa a cui siamo invitate). Sbarrate le porte su quei pianerottoli dove ci scaraventavamo ogni mattina per lanciarci in un esterno ora così desiderato. Ci siamo ritrovate a fare i conti non più -come dicevano le vecchie pubblicità anni Sessanta- con le Ultime Novità, ma con un’unica grande novità, la salute da proteggere, da tenersi stretta come un abito cucito su misura.
Vestirsi è diventato un rito più dimesso e misurato. Siamo entrate nell’ordine di idee di eliminare orpelli eccessivi e pezzi superflui, di sperimentare mises alternative e tessuti green per essere più comode, più intonate all’ambiente, più riconoscibili negli specchi e negli spazi domestici. Poi forse, trascorsa la tentazione iniziale di sostituire le rigidità di una giacca strutturata e di un pantalone aderente con una tuta, una felpa oversize un po’ délabrée, dei leggings elasticizzati, ci siamo ricordate che non vestiamo solo per coprirci, ma anche per affermarci, differenziarci, dire qualcosa di noi, sentirci sicure nelle relazioni con gli altri. Per piacerci e dare una dignità al corpo vestito, anche nel rispetto di quei pochi che incontriamo (“Mi sono fatto bello per andare bello da un bello”: Simposio di Platone, Socrate che va a cena da Agatone). Abbiamo cercato di trovare un giusto equilibrio tra il fatto di esporci e quello di mantenere, ognuna a suo modo, il proprio stile personale in una situazione così differente dal “prima”.
Le rare proposte stilistiche degli ultimi mesi hanno puntato l’attenzione su linee fluide e morbide e su nuances vitaminiche o rilassanti, stuzzicando la nostra voglia di acquistare -rigorosamente online- qualche piccola cosa da aggiungere al nostro armadio, povero non di capi ma di slanci energetici. Camicie bianche dal collo importante e costruito, maglie cocoon che sostituiscono gli abbracci, pantaloni di linea sciolta, sciarpe avvolgenti che danno un'idea di calore e tenerezza. Sotto la scrivania durante call e videochiamate ovviamente niente tacchi, friulane e venexiane di velluto di seta, pantofoline confortevoli e belle da guardare; mascherine estrose nelle rare uscite in alternativa alle "fredde" chirurgiche; un po' di trucco e parrucco fai da te contro il pallore spaurito.
Gli accessori, per finire, quelli che i futuristi chiamavano “i modificanti”, avendo la capacità di trasformare la base su cui appoggiano rifrescandone l'aspetto. Orecchini pendenti che movimentano le espressioni del viso, collane lucenti o in materiali poveri e naturali (lana, rafia, corda, eccetera), cerchietti che tengono in ordine una capigliatura che ha perso forma, anelli voluminosi che evidenziano il movimento delle mani davanti alla videocamera, spille ripescate dai vecchi cassetti per dare luce ai pullover che raccontano la nostra personalità "dimezzata" dall'inquadratura.
La bellezza forse potrà salvare il mondo e orientarci nella "ricostruzione": certamente salva il nostro umore e la nostra capacità di resistere alla prova.
Torna alla mente quella meravigliosa poesia di Emily Dickinson dedicata al cambio di passo tra l’estate e l’autunno, quando la nostalgia del passato luminoso riesce a trasformarsi in una rinnovata positività, proprio a partire da un piccolo dettaglio, un accessorio che tiene insieme quello che è stato con ciò che deve arrivare.
“Sono più miti le mattine
e più scure diventano le noci
e le bacche hanno un viso più
rotondo.
La rosa non è più nella città.
L’acero indossa una sciarpa più
gaia.
La campagna una gonna
scarlatta.
Ed anch’io, per non essere antiquata,
mi metterò un gioiello”
Ora ci tocca l’inverno, ancora nel pieno del suo crudo, e gelido, e pandemico habitus.
Ma -ancora parole d’autore-
“Potranno recidere tutti i fiori ma non potranno fermare la primavera.”
Simonetta Como