C'è una cosa che il Covid ha dimostrato: una società mascherata non funziona.
I sostenitori del velo sono stati subito entusiasti: "Sì, vedi, la mascherina è come il burqa, ma sì, è lo stesso, è divertente sentirti più laïcard (laicista), cosa ne dici?". Ma paragonare mascherina chirurgica/velo integrale è più o meno come confrontare un foulard sul naso in una fredda giornata invernale e un burqa(…) Stesso discorso per la dichiarazione che il burqa afgano protegge le donne dalle molestie sessuali scritta da Lila Abu-Lughod e pubblicata da Harvard University Press, non su Twitter. Insomma, andiamo oltre questi piccoli sbandamenti accademici endemici.
Una pratica ostentata
Più che un indumento, velare è una pratica (…) Infatti quando sei velata devi comportarti con modestia, devi essere in un certo modo con gli uomini, magari dedicarti a una vita di preghiera e così via. La natura ripetuta e pesantemente regolata del velo è simile a una pratica.
I confronti con gonne e mascherine non hanno senso. Il velo è la scelta di un vincolo (…) Oggi mi metto la gonna, domani mi metto i pantaloni, il velo, con il suo codice di condotta, è a lungo termine. Me lo metto oggi ma domani non rinuncerò perché ci sono 27 gradi (...)
Il velo integrale si staglia come una macchia tra la folla. Lo vediamo da lontano, questo tessuto lungo e spesso che si attacca come una vergogna secolare. In queste circostanze possiamo apprezzare meglio una caratteristica essenziale del velo: è necessariamente ostentato.
Perché dobbiamo vedere il velo?
Il velo è ostentato perché è simbolico. Si mette sulla testa (luogo simbolico) e copre i capelli (simbolico anch'esso). Poiché non risponde ad alcuna esigenza pratica (come il berretto per il freddo) appartiene solo all'ordine simbolico come un turbante o una corona.
Come ogni simbolo, comunica qualcosa. E se un simbolo comunica, non si tratta di un monologo: deve essere percepito dagli altri, se no scompare.
(…) Nascondendo, il velo rivela esattamente ciò che nasconde. In questo paradosso nascosto/rivelato Chadortt Djavann vede un elemento pornografico in sé.
Il velo fa pensare necessariamente al sesso: sesso femminile, sesso coitale. Crea un'ossessione su questo: della donna ricorda il sesso e dice cosa possiamo o non possiamo farci. È un indicatore della disponibilità sessuale. Il velo dice agli altri uomini: qui sotto c'è una femmina appartenente ad un altro maschio - sia esso "Dio", Gesù, marito o padre. Il velo mostra agli uomini ciò che non possono toccare. In una cultura patriarcale dove, per riprendere il ricco pensiero di Andrea Dworkin , il matrimonio è un acquisto, lo stupro un furto, la prostituzione un affitto (...) il velo è il segno della proprietà.
Il velo è quindi un simbolo che distingue donne buone e donne cattive. Come con la prostituzione! Ma che coincidenza! La vita è davvero fatta di sorprese. Come se le prime leggi sul velo non fossero state create proprio per distinguere le donne prostituite dalle donne sposate. Questo era il caso in Assiria nel 1050 prima di Cristo. Lo stesso in molti territori francesi o in Italia nel Medioevo. Fino al XV secolo a Digione togliere il velo a una donna significava accusarla di prostituzione. In Iran , un rapido movimento di svelamento/rivelamento segnala la prostituzione.
(...) Che dire dell'implicito insulto alle donne senza velo? Perché ci sia velare, ci deve essere non velare (...) Donne coperte/non coperte. Come per il codice binario, l'eterno stato/non-stato e uomo/non-uomo, il velo non permette di incorporare la differenza. La donna senza velo è il negativo del velato, un fallimento (...)
Ma come ? Io che credevo che il velo fosse segno di emancipazione!
Se il velo è un simbolo, il suo significato nel corso dei secoli non potrebbe essere cambiato?
Innanzitutto, come diceva Andrea Dworkin pensando alla parola “vagina”, che significa “guaina”, "fodero": “se la parola non è cambiata, il significato non è cambiato”. Lo stesso vale per le pratiche. Che il velo, prodotto di una società patriarcale, sia sopravvissuto così com'è fino ad oggi suggerisce ancora un indizio sulla sua natura patriarcale. Francamente, pensare che velo e femminismo siano compatibili è come pensare che possano esserci dei macellai in una società antispecista.
In secondo luogo, se non fosse già ovvio, va ricordato che il velo è indossato solo dalle donne (…) Ovviamente un uomo può travestirsi da donna velata, ne parleremo tra poco, ma l'avvolgimento quotidiano sul capo di un oggetto velante rientrerebbe in un'altra pratica e andrebbe assimilato a un turbante o a un altro copricapo: non c'è nessun uomo velato. Questo dimostra la discriminazione sessuale imposta e necessaria per il velo (...) Una società egualitaria non ha bisogno di segni distintivi gerarchici, ricorda Sheila Jeffreys studiando il velo.
I due sessi non sono solo diversi, come ci spiega Antoinette Fouque, sono asimmetrici. Il ruolo delle donne nella perpetuazione della specie umana è chiaramente più sostanziale. In un contesto patriarcale, il sesso maschile è dominante. Un uomo o una donna possono fare esattamente la stessa cosa, ma il significato di questa cosa non è lo stesso a causa del loro genere (...).
Quando il secondo sesso è coperto di vergogna, non c'è liberazione. La posizione delle donne dovrebbe cambiare perché il significato del velo cambi. Ma velare è proprio il tipo di pratica creata per degradare le donne. In una società in cui la posizione della donna è chiaramente stabilita, dove è chiaramente stabilito il significato assegnato all'essere donna, la riproduzione di pratiche sessiste non fa che confermare questo significato e questa posizione.
La cancellazione delle donne
Il velo è una pratica simbolica ostentata che funge da distinzione sessuale e che segnala la proprietà maschile. Ma la sua funzione non si ferma qui (…) Il velo cancella la donna. Noi donne, velandoci ,ci cancelliamo dallo spazio pubico-maschile (...)
Si discute oggi della cancellazione delle donne a causa dell'identità di genere e della sparizione della parola "donna". Ma la negazione delle donne risale al velo. La normalizzazione del velo ha preparato il terreno per le "persone incinte" (...) Niente più differenze di sesso. Solo un uomo e un oggetto.
Cancellando la donna, il velo lascia il posto all'oggetto (...) Normalmente, spiega Janice Raymond, una donna viene ridotta in pezzi: seno, gambe, sesso, piedi… la feticizzazione che ne consegue dà vita a ciascuna di queste parti, che in verità non hanno esistenza autonoma. Come gli oggetti, vengono assegnati a una propria esistenza e funzione. Donna = seno. Queste parti staccate e trasformate in oggetti vengono a simboleggiare la donna intera - la parte per il tutto, una metonimia, per i fanatici delle figure retoriche. Tette = donna. Un uomo si bombarda il petto di silicone, lo chiamiamo seno, diciamo che è una donna. Per il velo le cose vanno nella direzione opposta. Abbiamo qui una donna intera che si copre con un oggetto. Non c'è più bisogno di frammentarlo per oggettivarlo, l'oggetto lo definisce (...)
Quando i terroristi hanno cercato di fuggire, a Londra nel 2013, non si sono solo nascosti: si sono travestiti da donne in burqa. L'obiettivo non era solo quello di essere anonimi, ma di far parlare l'oggetto: "Qui sotto c'è una donna rispettabile, pura e pia, appartenente a dio/marito/capo/fratello/padre/spirito". Come con seni = donne, abbiamo velo = donna. Anche il velo contribuisce al mito della donna-oggetto.
Del velo non si è parlato già abbastanza?
A quanto pare non quanto sarebbe necessario per rendere obsoleta la pratica. Ricondotto a pratiche culturali e religiose, il velo distrae portando il discorso sulla critica di detta cultura o religione (...) Si vede ancora il velo tra presunte immagini femministe che celebrano la “diversità” delle donne. Eppure non sentiamo tanto il bisogno di rappresentare le donne con i tacchi alti o interventi di chirurgia estetica: stereotipi e violenze non partecipano alla “diversità” delle donne. Questa irrefrenabile urgenza di aggiungere donne velate ovunque dimostra che l'essenza di queste donne è definita dal velo, come se non fossero più loro stesse senza - sempre questa idea della donna incompleta (…)
Il cortocircuito intellettuale del pensiero propugnato dal liberalismo ci confonde ancora di più. Velarsi è una scelta? Il velo ha conseguenze negative o no? Interferisce con la libertà degli altri o no? (...) Non importa cosa sia la prostituzione o l'identità di genere, finché si tratta di scelte nulla è dannoso. Qui si vede fino a che punto il liberalismo sia privo di pensiero critico. È la sociologia del filosofo: mi accontento di osservare, mi trattengo dall'esprimermi. Il codice binario scelto/non scelto sostituisce il vitale "Ma perché?".
Il velo discrimina le donne e le ragazze. Questa pratica di genere è collegata ad altre istituzioni sessiste come il matrimonio e la prostituzione (...)
Per capire l'ingiustizia del velo basta vedere una ragazzina di quattordici anni avvolta in una sorta di K-way rosa fucsia sotto il sole battente del mar Egeo, impantanata nel tessuto mentre cerca di nuotare. Ha il suo boccaglio ma non può immergersi, le bolle d'aria nell'indumento la trattengono in superficie (...) Vai a dirle che può essere orgogliosa di essere una donna quando è stata coperta dalla testa ai piedi.
Vai a dirgli che il mondo è suo.
Allora, a favore o contro il velo? (…)
Articolo integrale a cura di Yagmur Uygarkizi qui
Traduzione e adattamento: Marina Terragni
Immagine: La scomparsa della donne, opera della fotografa iraniana Shadi Ghadirian