Il 2020 è stato per eccellenza l’anno in cui il confronto e la continua riflessione sulle serie televisive è divenuto, da lieta arte del conversare, sicuro terreno di comunicazione e scambio. Non è risultato difficile, grazie al tempo in esubero durante la surreale quarantena primaverile e natalizia, formarsi una personale visione d’insieme di quello che, serie dopo serie, emerge come un valore femminile di ritorno: l’amicizia tra donne connotata con l’immensa potenza dell’irripetibile.
In seguito al cataclisma sociologico scaturito dal #MeToo i rapporti tra donne e tra donne e uomini sembravano aver perso autenticità narrativa poesia e mordente, rovinati nella retorica rediviva dell’ape regina e nella rigidità della diffidenza. Rapporti femminili più orientati alla sororità, meno audace ma più stabile del sentimento inclusivo della voce maschile, comprensivo di ogni apporto al di là del genere, da non confondersi con la "sorellanza", dal maggiore addentellato con il femminismo radicale.
Se letterariamente, come insegna la regina della sororità narrativa, Louisa May Alcott, la sororità ha il grande pregio di organizzare il vivace disordine espressivo del femminismo da trincea, declinandolo in un rassicurante femminismo della porta accanto del "tutte per una, una per tutte", cinematograficamente e televisivamente si sta tornando alla narrazione d’effetto di un femminismo che sembra crescere in maniera organica da errori ed esperienze. Si pensi ai recenti "The morning show" (2019), serie tv americana con Jennifer Aniston, Reese Witherspoon e Steve Carell, in cui i riverberi del #MeToo sul tessuto sociale sono analizzati con occhio critico e per nulla indulgente verso gli aspetti più controversi delle conseguenze del movimento. Ancora, "The bold types" (2020) serie non ancora interamente tradotta in italiano, infinitamente più cool e spregiudicata del progenitore "Sex and the city", torna ad ampie falcate sulla purezza adamantina dei rapporti d’amicizia tra donne, con il pregio di distendere ciò che è teso fino all’insopportabile in relazione alle storie familiari, talvolta dolorose, talaltra incolore, delle protagoniste.
L’eredità del #MeToo è sviscerato, vissuto, traslato, problematizzato non fino a un’elaborazione che ne neutralizzi stilemi e conseguenze, ma ricondotto a un piano in cui l’amicizia è chiave di volta, luce dirimente di ogni dimensione privata e professionale, che assicura ogni scelta dentro il perimetro inviolabile dei rapporti d’elezione, non di sangue, non solo perlomeno.
Così pure dicasi di "Bombshell" (2019) con Nicole Kidman, vera storia del maxi scandalo sessuale che investì i piani alti della Fox nel 2016. La tessitura narrativa della recentissima e fashionissima "Younger", sitcom americana di Darren Star, con le magistrali Sutton Foster, Miriam Shor e Debbie Mazar, dinamizzata dalla frizzante millennial Hillary Duff, analizza stavolta l’amicizia femminile come fatto generazionale. Boomer, Millennials e gerazione Z assorbono l’urto casuale tra il desiderio di auto determinazione della donna di ogni età coniugandolo all’urgenza esistenziale di non perdere il fuoco ontologico di sé stesse. La lunga serie – sei stagioni – termina con la messa a fuoco della legittimità dei vicendevoli desideri.
Massimo catalizzatore di ogni fenomeno è l’amicizia tra donne. Alle quattro beniamine di Sex and the city è servito un tempo di incubazione e approfondimento - sospeso dalla prima comparsa dei telefoni cellulari e a un uso quasi esclusivamente professionale delle e mail - al post #MeToo. È voce confermata che l’HBO Max ha dato l’ok alle riprese del reboot della serie. Dall’atmosfera di una Manhattan dei primi anni ’10, in cui l’estetica era madre dell’etica, fatta salva la granitica amicizia delle quattro storiche amiche di cui mai si è trattata la genesi del rapporto (maggiore cura è dedicata alle vicende nel prequel nei due movies successivi alla serie), rimane da capire che ruolo sarà assegnato all’uomo: se il bel partner occasionale sarà il servo temporaneo dell’ego talvolta ipertrofico talvolta ferito delle protagoniste o degno di uno scambio equo. Ma soprattutto è tanta la curiosità di capire se il punto di partenza cult della mitizzazione dell’amicizia femminile e femminista sarà ormai in grado di superare le perfette e profonde epigoni televisive degli ultimi anni.
Ilaria Muggianu Scano